11 luglio 2008

La pista spagnola: "Atta, incapaz de pilotar un Boeing 767"

di Pino Cabras


Mohamed Atta ancora ragazzo.

Un Boeing 767 non era alla sua portata.
Lo ha detto l’istruttore di volo di Mohamed Atta, uno spagnolo che lo conobbe e seguì per mesi e mesi.

C’è tutta una pista spagnola per le inchieste dell’11 settembre, quasi sconosciuta fuori dal suolo iberico, ma ricca di dettagli meritevoli di riflessioni.

Sappiamo che la biografia di Mohamed Atta, il presunto dirottatore e pilota suicida di al-Qā’ida, ha avuto ramificazioni e ubiquità incongruenti, prodigiose “bilocazioni” in stile Padre Pio, che però era un santo, mentre Atta è il demonio per eccellenza. Dopo Osāma bin Lāden, sia chiaro. Una di queste vite parallele ha portato Atta in Spagna.

La giornalista Pilar Urbano, editorialista di «El Mundo», vicina politicamente a José Maria Aznar, nonché biografa ufficiale dei reali spagnoli e membro dell’Opus Dei, racconta il vissuto spagnolo di Atta in un libro, Jefe Atta, el secreto de la Casa Blanca (Janet & Plaza, 2003). La figura di Pilar Urbano, come si vede, è già una sorpresa. È quella di una personalità saldamente conservatrice, portata in più punti decisivi a non discostarsi dal paradigma della versione ufficiale. Ma è altresì il profilo di un’abile giornalista d’inchiesta, alla quale decenni di mestiere hanno insegnato un certo rispetto nei confronti della durezza dei fatti. E i fatti, nel corso dell’indagine, la portano fino alle domande più scomode, così che si trova a criticare le contraddizioni della versione ufficiale dell’11 settembre, tanto da investire con un radicale scetticismo i resoconti governativi sull’attentato al Pentagono. A ulteriore dimostrazione che i fatti dell’11 settembre non sono materia per contrapposizioni novecentesche destra-sinistra, bensì materia per analisi coraggiose in cui conta l’indipendenza di giudizio. E Pilar Urbano è una che tiene davvero la schiena dritta: quando nel 1981 gli spari dei militari golpisti risuonarono nell'aula del parlamento di Madrid, lei - allora giornalista parlamentare - fu una delle pochissime persone a rimanere coraggiosamente in piedi sfidando gli uomini di Tejero.

La sua interpretazione delle prove è che l'aereo di Washington sia stato abbattuto dall'aeronautica militare sopra il fiume Potomac e sia caduto poco lontano, mentre quel che si vede nel famoso video del Pentagono non sarebbe altro che l'esplosione di uno dei missili terra-aria dell'obsoleto sistema di difesa del dipartimento della Difesa. In sostanza una grave disfunzione del sistema di difesa militare ereditato dai tempi della guerra fredda e mai attivato per davvero sino ad allora. Sebbene questa ipotesi tenda a distogliere i sospetti sull'intenzionalità dei fallimenti del sistema della difesa, nondimeno fa della versione ufficiale un ferrovecchio. Non va dimenticato che chi ha fatto menzione alla 'necessaria' esistenza di questi sistemi posti a presidio delle zone aeree proibite di Washington è stato attaccato duramente dai mitografi della versione ufficiale.


Pilar Urbano

Un altro giornalista spagnolo ha scritto una voluminosa inchiesta sull’11 settembre. Anche lui è fuori dagli schemi. Si chiama Bruno Cardeñosa. È un noto ufologo, e questo farebbe già strillare come polli spennati i sedicenti anti-bufala nostrani, che nella foga delle loro tecniche di discredito, dimenticano sempre di vedere se per caso il loro bersaglio di turno abbia da dire qualcosa e magari se porta prove o testimonianze.

Bruno Cardeñosa

Non ho idea di dove vada a parare Cardeñosa quando segue la sua passione investigativa per gli “objetos volantes no identificados”. Non ho letto i suoi libri che ne parlano. Posso solo immaginare che sia un tipo che non si accontenta dei sentieri già battuti.
La testardaggine di ricercatori e giornalisti eccentrici, fuori dagli schemi in voga, spesso ostracizzati e talvolta molto discussi, ha portato a trovare comunque notizie rare e preziose, in grado di resistere a controlli incrociati. Notizie che un bravo giornalista ‘responsabile’ – ma anche troppo omologato e troppo attento a non apparire inaffidabile – di solito cerca di non affrontare di petto. Troppi rischi, troppa distanza dall’asse della sua carriera e troppa stonatura rispetto alle scelte dei direttori.
Il giornalista investigativo spagnolo mostra tutti i suoi pregi in due suoi libri in tema di mega-attentati: un grosso volume sull’11 settembre 2001 statunitense (11-S. Historia de una infamia, Corona Borealis, 2003) e un’indagine sull’11 marzo 2004 spagnolo (11-M. Claves de una conspiración, Espejo de tinta, 2004). Sono inchieste vere. Il cronista non intervista alieni. Fa domande e ottiene risposte da uomini e donne in carne e ossa che hanno molte cose da dire, e da una posizione adeguata.

In 11-M, ad esempio, affronta i misteri dei grandi attentati alle stazioni dei treni di Madrid, che sono tanti e inquietanti anche lì, per collocarli lungo un filo che li riporta allo scenario dell’11 settembre.

Uno degli aspetti più clamorosi del libro di Bruno Cardeñosa riguarda le sue rivelazioni su Iván Chirivella, che fu l’istruttore di volo di Mohamed Atta e Marwan al-Shehhi, i due presunti piloti terroristi che si sarebbero suicidati scagliando i Boeing sulle Torri Gemelle. Le dichiarazioni di Chirivella sui due arabi risultano assai rivelatrici. Fra i cinquanta allievi che ebbe nel corso di pilotaggio per piccoli aerei, Chirivella posizionava entrambi ai posti 49 e 50. Nessun dubbio nel considerare semplicemente impossibile che Atta e al-Shehhi potessero «sequestrare, dirottare, farsi beffe dei sistemi informatici dei propri apparecchi, discendere, centrare il proprio obiettivo e manovrare con perizia per colpire le Torri...» (pag. 179).

Stando alla testimonianza di Chirivella, Atta avrebbe potuto fare una simile impresa soltanto se avesse iniziato a far volare l’aereo un paio di secondi prima dell’impatto.
Chirivella ha rivelato anche che appena due ore dopo gli attentati ricevette la solertissima visita degli agenti dell’FBI, i quali volevano parlare un po’ con lui di Mohamed Atta. C’è da chiedersi come facesse l’FBI a conoscere il coinvolgimento di Atta in così poco tempo e a sapere che Chirivella era il suo istruttore. Come minimo, questo dimostrerebbe che Atta era già monitorato dall’intelligence statunitense.

Ivan Chirivella.
Fonte: El Mundo


Oggi Chirivella è un pilota della compagnia aerea Iberia. Pur avendo vissuto per molti anni a Miami senza commettere alcun reato, le autorità statunitensi non gli hanno più concesso un permesso di soggiorno negli Stati Uniti . Chirivella era un testimone chiave che forse era meglio tener lontano dalla ‘versione ufficiale’. Lo stesso Iván Chirivella - assieme alla giornalista Alicia Mederos - ha scritto un libro sulla sua vicenda, intitolato Cómplice Inocente, (Martínez Roca, 2003).

Il saggio di Cardeñosa rivela anche che una trentina di piloti commerciali e militari si riunirono a metà 2002 per 72 ore a porte chiuse in un hotel di Lisbona per analizzare la questione dell’11 settembre. La conclusione degli esperti fu unanime: «i dirottatori della “versione ufficiale” non erano assolutamente capaci di eseguire le traiettorie descritte da quegli aerei» (pag. 186). Altri esperti citati con nome e cognome in questo e nel libro precedente di Cardeñosa sono giunti alle stesse conclusioni.

Bruno Cardeñosa menziona anche i problemi avuti dai proprietari delle scuole di volo statunitensi presso cui si sono addestrati Atta e soci. Si tratta di due olandesi, Rudi Dekkers e Arne Kruithof. Quando Dekkers fu accusato, nel dicembre 2002, di alcune frodi gestionali relative alla sua scuola di volo, la Huffman Aviation, sibilò una minaccia: «Aprirò il vaso di Pandora, se sarà necessario». Pochi giorni dopo, il 23 gennaio 2003, il suo elicottero ebbe un misterioso incidente. Nonostante prima del decollo lo avesse rifornito con oltre cento litri di carburante, il serbatoio fu subito disperatamente vuoto e l’apparecchio precipitò sul fiume Caloosahatchae, in Florida. Dekkers salvò miracolosamente la sua vita e un mese dopo chiuse la scuola di aviazione (pag. 219). Il vaso di Pandora sarebbe rimasto chiuso, al momento.

Capitò qualcosa di molto simile ad Arne Kruithof, proprietario della Flight Training di Venice, dove a suo tempo aveva preso lezioni Ziad al Jarrah, l’uomo cui fu ufficialmente attribuito il pilotaggio del volo che si concluse in Pennsylvania. Kruithof ebbe un altro “incidente” a bordo del suo piccolo aereo. Il combustibile si incendiò trasformando il velivolo in una palla di fuoco. Malgrado ciò, anche lui salvò la pelle. Casualmente l’incidente ebbe luogo pochi giorni prima che Kruithof fosse chiamato a testimoniare davanti alla Commissione d’inchiesta sull’11 settembre. Le sue dichiarazioni non riservarono sorprese. Nel frattempo, «i resti dell’apparecchio vennero rimossi con straordinaria celerità dopo l’incidente. Nel giro di poche ore, venne compattato all’interno di una discarica, vanificando qualsiasi tentativo di conoscere le cause dell’incidente».

Il libro continua sulle tracce dei viaggi di Atta tra Spagna e Stati Uniti. Va sottolineato che, nonostante esistesse un mandato di cattura a suo carico, Atta poté uscire dagli USA in tutta tranquillità senza che nessuno lo arrestasse e poté perfino tornare da Madrid sul suolo americano senza un visto in regola, cosa che di norma è impossibile per chiunque e a maggior ragione per qualcuno su cui penda un mandato di cattura, ancorché relativo a un reato del codice della strada (pag. 215).

Sono tracce confuse ma tipiche di chi si muove in un certo mondo dei servizi segreti. Non va dimenticato che Mahmud Ahmed, capo dell’ISI pakistano, aveva autorizzato un pagamento di centomila dollari a favore di Mohamed Atta qualche giorno prima degli attentati. Lo stesso Ahmed si era incontrato con alti funzionari di Washington nella settimana in cui cadeva l’11 settembre 2001.

Aggiornamento del 15 luglio 2008:
Il presente post è stato ripreso dal sito Comedonchisciotte: [QUI]
È stato ripreso anche dal sito Zerofilm: [QUI]

Nessun commento: