16 dicembre 2013

Per dei forconi con un progetto

di Francesco Gesualdi*.

Siamo stati zitti quando i nostri governanti hanno riscritto le regole del commercio internazionale per consentire alle multinazionali di spadroneggiare contro le piccole imprese, contro i lavoratori, addirittura contro gli stati che corrono il rischio di finire in tribunale se si azzardano a fare leggi che per difendere ambiente e salute pongono limiti alle attività delle imprese straniere.
Siamo stati zitti quando ci hanno prospettato un’Europa costruita sul principio supremo della concorrenza selvaggia.
Siamo stati zitti quando ci hanno trascinato in una moneta unica senza alcun meccanismo a difesa delle economie più deboli.
Siamo stati zitti quando le imprese tedesche hanno avuto buon gioco a invadere i mercati degli altri paesi europei grazie a leggi di casa propria che hanno abbattuto i costi di produzione sulla pelle dei loro lavoratori.
Siamo stati zitti quando hanno progettato l’euro avendo come unico obiettivo quello di renderlo appetibile per la finanza internazionale affinché il suo valore salisse sempre più su.
Siamo stati zitti quando il governo dell’euro è stato affidato al sistema bancario europeo che ha a cuore solo l’interesse delle banche contro i cittadini e i governi.
Siamo stati zitti quando i governi sono stati scippati del potere di stampare moneta non avendo nessun’altra possibilità di finanziare i propri deficit se non ricorrendo a banche e investitori privati che si comportano come strozzini.
Siamo stati zitti quando i trattati europei hanno anteposto l’interesse dei creditori ai diritti dei cittadini imponendoci l’austerity come regola di vita.

Siamo stati peggio che zitti. Siamo stati assenti considerando tutto ciò roba noiosa da lasciare ai professionisti della politica.
Ed è successo l’inevitabile.
Senza un fronte popolare che mantenesse la rotta, la politica ha deragliato. Ha trovato più conveniente mettersi d’accordo con i poteri forti che in cambio di denaro hanno preteso regole a proprio favore. Ed oggi che tutti i nodi vengono al pettine, non sappiamo da che parte rifarci. Sopraffatti dalla complessità ci limitiamo alla protesta rendendoci simili a bambini che strillano nella speranza che qualcuno venga in loro soccorso per ripristinare i bisogni insoddisfatti. La delega continua ad essere l’atteggiamento dominante, ma ormai dovremmo averlo capito che solo la partecipazione e la proposta possono tirarci fuori dai guai.

Ma per proporre, prima ancora che idee di tipo tecnico, occorrono chiarezze di obiettivi.
E qui si aprono due strade di fronte a noi: quella della difesa degli interessi corporativi e quella della difesa dei valori. Ad oggi sembrano avere prevalso le logiche corporative, per cui le piccole imprese, i professionisti, le partite iva di ogni ordine e grado, scendono in strada per protestare contro tasse, vincoli burocratici, ingerenza delle merci tedesche, che compromettono i loro affari.
L’attenzione rivolta al proprio ombelico, non si rendono conto che la crisi è il frutto di una lunga concatenazione di eventi prodotti dai meccanismi su cui questo sistema mercantil-finanziario è fondato: concorrenza sfrenata, taglio dei salari, aggravarsi delle disparità, licenza di azzardo fino al fallimento, intervento statale a favore delle banche, indebitamento pubblico, austerity per garantire il pagamento degli interessi.
In definitiva, invece di andare all’origine della frana se la prendono con gli ultimi sassi che cadono sulle loro teste. In particolare la pressione fiscale, da sempre odiata, e l’euro, come se il problema fosse l’estensione territoriale delle monete e non il loro governo.
È arrivato il tempo di capire che la situazione di impoverimento in cui ci troviamo è il frutto di un’impostazione economica organizzata per consentire ai forti di arricchirsi usando come strategia la concorrenza sfrenata e la demolizione di tutto ciò che è collettivo affinché ogni bisogno personale e sociale sia trasformato in occasione di guadagno per loro.
Per cui o arrestiamo questa logica o saremo perdenti. Finché il progetto rimarrà il predominio dei forti, euro o lira, Europa o Italia, non farà differenza.
Anzi il ritorno ai vecchi confini nazionali può renderci ancora più vulnerabili e più esposti al ricatto delle forze transnazionali che libere di muoversi sullo scacchiere mondiale eviteranno i paesi che osano sfidarle per rifugiarsi in quelli disponibili a soddisfare i loro interessi.
Per questo, la lotta per un cambio di progetto, ossia di valori, a livello di più paesi europei, è la vera strada per uscire definitivamente da una situazione di crisi che non è solo economica, ma anche sociale e ambientale. Ed è proprio la difesa della dignità personale di tutti, nel rispetto dei limiti del pianeta, la battaglia di valori che dobbiamo condurre se vogliamo garantirci un futuro.
Un simile progetto richiede cambiamenti a tutti i livelli, da quello globale a quello continentale, da quello nazionale a quello locale, in numero così ampio da non poterli esporre neanche in forma di elenco. Ma alcuni passaggi meritano di essere evidenziati per la loro urgenza e la loro importanza strategica.
Dopo secoli di cultura mercantile ci siamo convinti che non esiste altra formula economica all’infuori del mercato. Abbiamo dimenticato che oltre alla produzione per la vendita affidata al mercato, esiste anche la produzione gratuita per il godimento di tutti affidata alla comunità.
Abbiamo accettato di trasformarci in piccoli imprenditori di noi stessi che intrattengono rapporti con gli altri solo sulla base della compravendita e della concorrenza. Ma così facendo siamo finiti in una guerra di tutti contro tutti: milioni di gladiatori pronti al corpo a corpo con chiunque si pari davanti. Eppure dovremmo averlo imparato che la logica del divide et impera è funzionale solo al potere. Ai deboli, la storia lo ha dimostrato, conviene l’alleanza, la cooperazione, la solidarietà. Per cui dovremmo rafforzare e riformare la dimensione comunitaria in modo da costruire una grande casa comune dentro la quale tutti possano trovare rifugio come tripla area di sicurezza.

Prima di tutto la salvaguardia dei beni comuni (aria, suoli, fiumi, boschi, spiagge, mari) perché la nostra esistenza dipende da un ambiente in buona salute.
In secondo luogo il soddisfacimento dei bisogni fondamentali (acqua, cibo, alloggio, energia, salute, istruzione e altro ancora) affinché la vita non sia più un’angoscia, ma una gioia.
Infine la garanzia di un lavoro affinché tutti possano sentirsi utili e socialmente apprezzati.
Per questo la nostra prima battaglia dovrebbe essere a difesa dell’economia pubblica contro chi oggi vuole depredarla in nome del debito. Basta continuare a farci spennare dai signori della finanza sull’onda del senso di colpa. Se abbiamo duemila miliardi di debito non è per colpa dei nostri eccessi di spesa, ma degli interessi che ci hanno strangolato.

Per cui non dobbiamo pagare solo noi ma pretendere che lo facciano anche i creditori accettando riduzioni sostanziose degli interessi e abbattimenti del capitale.
E sullo sfondo di tutto ciò, la riforma fiscale in senso progressivo, la riqualificazione della spesa pubblica per liberarci dalle spese inutili e dannose, la regolamentazione delle attività finanziarie per impedire la speculazione sui titoli del debito pubblico, la riforma dei trattati europei e della sovranità monetaria affinché l’euro sia messo al servizio degli stati per la creazione della piena occupazione, la promozione dei servizi pubblici, la soluzione del debito pubblico fuori dalle logiche di strangolamento.
Sogno impossibile? Dipende da noi, dalla nostra capacità di smettere di venerare il mercato come un dio assoluto e cominciare, invece, a prenderci cura della nostra casa comune.



* Centro Nuovo Modello di sviluppo.
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