30 maggio 2013

L'Euro sostituito dal Dollaro?

di Comidad.


L'anno diplomatico 2013 ha visto come primo significativo evento il comunicato congiunto di Washington e Bruxelles del 13 febbraio sul comune proposito di avviare dei negoziati per dar vita al TTIP, cioè ad una partnership per il commercio transatlantico e per gli investimenti. Si tratterebbe di una vera e propria unione finanziaria e commerciale delle due sponde dell'Atlantico.
Il comunicato congiunto però non ha avuto alcuna risonanza sui media ufficiali, anzi sembrerebbe che ci sia stata una vera e propria congiura del silenzio. Ha fatto parzialissima eccezione la testata online "Wall Street Italia"; ma il fatto davvero strano è che una testata specializzata in notizie economico-finanziarie per procurarsi del materiale a riguardo abbia dovuto far ricorso al rilancio di un articolo di Michel Collon, che era stato tradotto e pubblicato su un sito di opposizione, ComeDonChisciotte. L'articolo di Collon metteva in guardia contro la prospettiva di una "NATO economica" che comporterebbe la nascita di un governo mondiale svincolato da qualsiasi controllo.
L'espressione "NATO economica" per definire questo partenariato commerciale-finanziario a livello transatlantico, non è affatto arbitraria, poiché è la stessa che viene usata nel dibattito interno al Consiglio Atlantico, l'organo supremo della NATO.
Il 12 marzo scorso la Commissione europea ha deciso di chiedere luce verde agli Stati membri per condurre in porto le trattative con gli USA. In realtà le trattative erano state avviate da tempo, in quanto sul sito della stessa Commissione europea risulta già una dovizia di studi di fattibilità e di possibili protocolli di intesa. Allo scopo di rassicurare i possibili perplessi, la Commissione fa anche sapere che il contenzioso attuale tra Europa ed USA non riguarda più del 2% del totale degli scambi commerciali.
Sempre dal sito dell'Unione Europea, si viene inoltre a sapere che un Consiglio economico transatlantico, incaricato di porre le condizioni di un vero partenariato, era già stato costituito nel 2007, cioè ben un anno prima dello scoppio della bolla speculativa che ha aperto la strada alla crisi finanziaria ed all'attuale depressione economica. Le firme in calce al documento costitutivo, che porta la data del 30 aprile 2007, sono quelle dell'allora presidente USA, George W. Bush, dell'allora presidente del Consiglio europeo, Angela Merkel, e del presidente della Commissione europea, Manuel Barroso.
Non si può quindi inquadrare la "NATO economica" come una risposta della presidenza Obama all'attuale crisi economico-finanziaria. Visti i tempi lunghi che hanno preparato il TTIP, sembrerebbe infatti che la prospettiva di un'unione commerciale e finanziaria tra le due sponde dell'Atlantico, in realtà sia lo sbocco preordinato di un'emergenza economica artificiosa. Infatti soltanto una gravissima depressione economica potrebbe essere in grado di giustificare un passaggio epocale di questa portata, e di superare le resistenze sociali a quella che si configura sfacciatamente come una totale annessione coloniale dell'Europa ai dettami commerciali e finanziari di Washington.
Alla luce di questo documento del 2007, anche l'ormai proverbiale ottusità della Merkel e di Barroso potrebbe essere riletta come pedissequa obbedienza alle direttive di Washington. Quindi, anche questo trascinare oltre i limiti di ogni buon senso l'ormai irreversibile crisi dell'euro, potrebbe trovare come provvidenziale soluzione tutt'altro che un ritorno alle valute nazionali, bensì un'adozione del dollaro come moneta unica europea. A riconferma del nuovo ruolo imperialistico che svolgono le fondazioni private, sul sito del Consiglio Atlantico si sottolinea il contributo fornito nell'operazione TTIP da una fondazione privata come la Bertelsmann Foundation. Che il Consiglio Atlantico e la Bertelsmann Foundation agiscano in un rapporto pressoché alla pari è una cosa che dovrebbe far riflettere.
Le notizie ufficiali su questa fondazione privata ce la presentano come una creatura dell'editore tedesco Reinhard Mohn; manco a dirlo, uno di quelli entrati varie volte nella lista degli uomini più ricchi del mondo. La fondazione agisce su un piano internazionale, con sedi a Berlino, Bruxelles e Washington. Il Dizionario di Economia e Finanza dell'Enciclopedia Treccani si sofferma sul ruolo della fondazione nei progetti di politica estera.
L'azione svolta dalla Bertelsmann Foundation a favore della conservazione della moneta unica europea, conferma che il calice dell'euro debba essere bevuto sino alla feccia, in modo da consentire un aggravarsi dell'emergenza economica, tale da giustificare soluzioni drastiche che oggi potrebbero apparire del tutto impensabili per l'opinione pubblica. Sul sito della stessa fondazione si trovano le notizie su questa sua opera di "persuasione".
La Bertelsmann Foundation ci fa sapere anche di aver ottenuto nel 2010 un generoso finanziamento (definito, con incredibile faccia tosta, una "borsa di studio"!) dalla Rockefeller Foundation per attuare i propri progetti di politica internazionale. Questa informazione è utile sia per sapere chi ci sia davvero dietro la Bertelsmann Foundation e dietro il TTIP , sia per capire che fine facciano le grandi quantità di denaro maneggiate da queste fondazioni no profit.
Il "mercato" è soltanto uno slogan, il "capitalismo" è un'astrazione analitica, mentre il crimine affaristico è un dato di fatto. In nome dell'assistenzialismo per ricchi, le fondazioni private infatti si finanziano l'una con l'altra, attuando così riciclaggi finanziari e investimenti che sono del tutto esenti da tasse. Rockefeller ha finanziato la fondazione della famiglia Mohn; ma, dato che chi è generoso viene premiato, un'altra delle fondazioni di Rockefeller, la Philanthropy Advisors, ha ricevuto a sua volta un ricco premio in denaro dalla Bill & Melinda Gates Foundation, come riconoscimento per un suo progetto.
Le fondazioni private assorbono così molte delle funzioni affaristiche del sistema bancario, sotto l'ombrello di nuovi privilegi. Un articolo del "Washington Post" dell'aprile del 2005 avvertiva che il no profit stava diventando la nuova frontiera dell'evasione fiscale. L'articolo riferiva di un'allarmata lettera del capo dell'Agenzia delle Entrate statunitense di allora, Mark W. Everson, che invocava dal governo misure per contrastare la gigantesca evasione fiscale che si verificava, già a quei tempi, all'ombra del no profit delle fondazioni private. Non risulta che queste misure invocate da Everson siano mai arrivate; anzi, a distanza di otto anni, non si vede quale funzionario governativo possa essere in grado di alzare la voce contro fondazioni private che gestiscono più potere e denaro di un ministero. Alla fiaba del dittatore pazzo, corrisponde la fiaba del miliardario filantropo, alibi mitologico di un potere sovranazionale del tutto incontrollato. Mentre i dittatori pazzi come Assad, Ahmadinejad e Kim Jong-un minacciano il mondo, i miliardari filantropi alla Rockefeller, alla Soros ed alla Gates lo proteggono, come Batman.


Fonte: http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=550.


29 maggio 2013

Un governo ombra contro la nuova guerra fredda

di Pino Cabras e Carlo Tia - da Megachip

Il tempo che trascorre prima della probabile crisi acuta del prossimo autunno ormai vola. I massimi responsabili della crisi non hanno un "piano B". Ma non c'è solo l'economia: c'è la Siria, dove si stanno concentrando le tensioni sismiche del mondo.
Per l'economia rimane del tempo (forse) per far crescere l'opposizione nei confronti dell'Europa dittatoriale del Fiscal Compact e dell'austerity, prima delle fatidiche elezioni tedesche del prossimo 22 settembre, e in vista delle elezioni europee del 2014.
Per la Siria invece, ossia per la guerra - cioè per una guerra catastrofica - non rimane (forse) più altrettanto tempo allo scopo di scongiurarla. Il precipitare delle cose potrà apparire improvviso e inspiegabile ai più. Abbiamo precedenti recenti: in Libia, l'Italia si è trovata in guerra senza che milioni di persone sapessero perché.
Le crisi avvengono in parte perché devono avvenire (dopo che i problemi sociali e politici irrisolti si accumulano), ma in parte si compiono perché sono pianificate. C'è chi pianifica e dosa i tempi della crisi economica, usando l'arma dello spread e analoghe pistole finanziarie, e c'è chi pianifica e dosa la guerra, usando anche tutte le altre armi. Ognuna delle pianificazioni cerca di scandire i tempi, ma ora i tempi non coincidono. I pezzi sulla scacchiera militare si stanno muovendo prima di quelli economici.
Siamo stati purtroppo buoni profeti, oltre un anno fa, nel descrivere dove sarebbe andata a parare la demolizione intenzionale della Siria, quando prevedevamo l'inevitabile scenario di oggi, che comincia a terrorizzare anche gli apprendisti stregoni che non volevano ascoltare le voci ragionevoli.
La pianificazione bellica ricalca un manuale, l'ormai famigerato Path To Persia (la via verso la Persia, NdT) della Brooking Institution: un concentrato di cinismo imperialistico che spiega come si fa a destrutturare le nazioni ("quelle" nazioni). Ovunque si possono scovare buone ragioni amiche da riempire di bigliettoni verdi e di armi, buone ragioni nemiche viceversa da svilire e demonizzare, o cattive ragioni da trattare come irredimibili, o normali contrasti sociali ed etnici da rendere irrisolvibili, o compromessi da respingere rigidamente fino a rendere normale una guerra civile fomentata sotto l'ombrello ipocrita e "umanitario" di una No-Fly Zone.
Sulla crisi siriana si è innestata una pianificazione a tavolino che aveva uno scopo: cacciare via la Russia dal Mediterraneo, sloggiarla dalla sua base siriana di Tartus, una vera spina nel fianco per gli USA e Israele in vista del controllo delle vie di comunicazione aeree, nel momento in cui il Path To Persia prevederà l'attacco all'Iran.
L'accordo USA-Russia per un conferenza di pace sulla Siria a Ginevra sembra essere morto prima ancora di entrare in fase preparatoria, grazie alla sciagurata decisione dei ministri degli esteri dell'Unione Europea di levare l'embargo alla fornitura di armi ai "ribelli" anti regime. La replica della Russia non si é fatta attendere: il vice ministro degli affari esteri russo ha annunciato che, per evitare che «alcune teste calde» immaginino di ripetere in Siria il corridoio umanitario aereo-bombarolo delle zone di interdizione aerea sulla Libia, prima di un intervento armato della NATO, o di alcuni suoi membri, saranno fornite alla Siria batterie missilistiche Terra-Aria tipo S-300.



Questa misura è anche una risposta allo spiegamento di batterie di missili Patriot statunitensi e tedeschi in Turchia, ai confini della Siria.
Israele ha già dichiarato che se Mosca agirà come preannunciato, Gerusalemme non resterà con le mani in mano. In termini geostrategici-diplomatici, tutto ciò significa che è già partito un braccio di ferro fra Russia, Cina, Iran, Siria, da una parte, e un blocco composito formato dagli USA, da Israele, Regno Unito, Francia, Turchia e le petromonarchie feudali, dall'altra parte.
Sappiamo che la decisione dei ministri UE è stata estremamente sofferta, poiché molti responsabili degli affari esteri si sono detti preoccupati per un fatto fondamentale: comunque vadano le cose sul terreno siriano, la decisione di levare l'embargo alle forniture di armi agli "insorti" equivale a seppellire ogni residua speranza di soluzione politica, come invece faceva sperare l'accordo USA-Russia.
Ma c'è stato di più: qualcuno ha avuto il coraggio di dire che questa decisione suona la campana d'avvio ufficiale della Seconda Guerra Fredda. Tutto un bel programma, con la gioiosa partecipazione di Emma Bonino: in rappresentanza dell'Italia (poco, assai poco) e, soprattutto, del Gruppo Bilderberg.
I tempi di questa seconda e ben più pericolosa crisi, sono dunque più ristretti rispetto alla crisi dell'Europa, che - al di là delle fiammate repentine che pure vediamo - ci sta cuocendo a fuoco lento.
È vero che c'è una lotta durissima all'interno dell'establishment statunitense e finanche in seno alle classi dirigenti israeliane sui tempi e i modi del confronto con l'Iran: l'ala "realista" non manca di far sentire la sua voce contro un attacco a Teheran. Lo fa da anni e ha segnato anche dei punti importanti per non far precipitare precocemente le cose. Ma tutti gli attori dello scenario internazionale ormai agiscono ritenendo che USA e Israele abbiano un calendario di guerra (uno scadenzario concordato a Gerusalemme nel corso dell'ultima visita di Obama a Netanyahu) e che intendano rispettarlo, costi quel che costi.
Nel corso dell'estate 2013 entreremo in un azzardato crescendo di tensioni dagli esiti imprevedibili, nei quali, come da copione, all'Italia non resterà che subire passivamente le decisioni degli altri.
Non ci sono più scuse per nessuno. Il pericolo di guerra cresce e bisogna proporre un'alternativa. Serve un progetto, di cui possa farsi carico un Governo Ombra italiano che cominci a lavorare subito e che si faccia conoscere con tutti i mezzi disponibili, insieme ad un progetto di respiro europeo, che, a sua volta, dia origine a un Governo Ombra Europeo, con una rappresentanza che sia la più allargata possibile a livello UE.
Non mancherebbero a tal fine le personalità autorevoli con esperienza, prestigio, convinzione, potenziale seguito presso l'opinione pubblica. Chi se ne fa carico in Italia? Il tempo non lavora a favore dell'opposizione, come ingenuamente crede Grillo. Il Movimento Cinque Stelle non può rimanere disinnescato, privo di incisività politica, esposto al farsi ulteriormente disinnescare, né può pensare di bastare a se stesso, davanti ai tanti elettori traditi dai partiti tradizionali o perplessi dai primi passi del M5S in questa legislatura. Il vero governo ombra che decide le sorti dell'Italia sta già agendo come se avesse scongiurato il "pericolo Grillo" ed è pronto a tutto pur di mantenere al potere i burattini di Palazzo Chigi e del Colle. Farli stare lì è condizione della continuazione delle politiche di austerità UE e garanzia di allineamento automatico al calendario di guerre già programmate.
Non ci saranno quindi prossime elezioni anticipate, né in autunno, né sino a quando non sarà terminato il capitolo "eliminazione Siria- Iran". Un'emergenza e uno "stato d'eccezione" potrebbero proiettare la crisi verso scenari più lunghi, interconnessi con una crisi mondiale più vasta.
Per chi voglia determinare altri scenari il momento per agire è dunque ora. Ripetiamo: chi se ne fa carico?

26 maggio 2013

Eric Schmidt: L'intelligenza artificiale di Google indistinguibile da quella umana entro dieci anni


di Paul Joseph Watson - Infowars.



L'amministratore delegato di Google, Eric Schmidt, ha pronosticato che la sua società sarà capace di sviluppare per i suoi programmi un'intelligenza artificiale che risulterà indistinguibile da quella di un essere umano entro 5-10 anni.

Durante un botta e risposta tenutosi nel corso dell'evento Google's Big Tent ("il Tendone di Google", Ndt), che ha avuto luogo la settimana scorsa presso il lussuoso Grove Hotel a Watford, nel Regno Unito, Schmidt ha risposto alla domanda: «Quanto tempo passerà prima che Google Now superi il test di Turing?»

Il test di Turing è un concetto introdotto nel 1950 dal matematico inglese e scienziato informatico Alan Turing, che misura la capacità di una macchina di dar prova di un comportamento equivalente a un vero essere umano.

Dopo aver ricordato come il sistema di intelligenza Watson della IBM abbia vinto la sfida del quiz televisivo Jeopardy, Schmidt ha risposto che Google «potrebbe riuscire nell'impresa entro cinque-dieci anni».

L'evento Big Tent è la versione più pubblica di Google Zeitgeist, una funzione privata che raduna una serie di autorevoli relatori del mondo della tecnologia, delle imprese, del mondo accademico e della politica.
 Come abbiamo recentemente riportato, il veicolo primario di Google per la sua tecnologia di intelligenza artificiale sarà probabilmente Google Now, un motore di ricerca con un interfaccia di riconoscimento vocale che viene pubblicizzato come uno strumento che alla fine sarà in grado di gestire quasi ogni aspetto della tua vita.

Eric Schmidt non si è mai allontanato dalla sua visione, distopica per alcuni, di un futuro mondo transumanista in cui i robot avranno un ruolo centrale nella gestione degli affari umani.

Il CEO di Google ha già discusso in precedenza il suo desiderio di inghiottire ogni mattina dei nano-bots  in grado di regolare il funzionamento del suo corpo, così come di poter inviare il suo clone robotico a partecipare a funzioni sociali.

Eminenti futurologi come Ray Kurzweil hanno abbracciato la visione di Schmidt e l'hanno spinta ben più oltre:  scrivendo che in pochi decenni l'uomo si fonderà con la macchina e che dal 2099 l'intero pianeta sarà gestito da sistemi informatici di intelligenza artificiale, più intelligenti di tutto il genere umano combinato, simili al sistema Skynet romanzato nella produzione seriale di Terminator.

Simili predizioni, alleate con la predilezione di Schmidt per il poterle veder giungere a buon fine, rendono nell'insieme ancora più inquietante il fatto che Kurzweil sia stato assunto da Google lo scorso anno per supervisionare il progetto aziendale inteso a «produrre un cervello artificiale».

In un'intervista concessa alla rivista Wired, Kurzweil ha osservato che «molti film di fantascienza sull'intelligenza artificiale immaginano che i sistemi di I.A. saranno molto intelligenti, ma mancheranno di alcune qualità emotive fondamentali degli esseri umani e pertanto finiranno per essere assai pericolosi


Fonte: http://www.infowars.com/eric-schmidt-google-ai-indistinguishable-from-humans-within-a-decade/


Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.
Link alla versione italiana: http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=75861&typeb=0.






23 maggio 2013

"Siate ragionevoli: chiedete l'impossibile"

di Pino Cabras - da Megachip.



Come in un gioco di specchi, mi trovo a rileggere don Andrea Gallo (1928-2013) con le categorie del religioso che ho studiato a fondo, padre Ernesto Balducci (1922-1992), finché mi scopro ad ascoltare la recensione video che proprio Don Gallo ha fatto nel 2012 per introdurre una raccolta di testi di Balducci, nell'eloquio che offro anche al vostro ascolto.


«L'appartenenza alla famiglia umana è il senso laico di tutto», riassumeva Don Gallo, «e la laicità, che non vuol dire laicismo, è l'unico luogo dove tutti possono esprimere le proprie idee, la propria posizione, professare la religione propria. La laicità è proprio lo spazio ottimale perché si svolga la libertà di tutti i cittadini». E con queste categorie molto "occidentali" Don Gallo ripassava Balducci e accompagnava una critica serrata rivolta proprio all'Occidente, che si è fatto "fortezza" e vorrebbe respingere chi non si conforma a questa nuova realtà.
Ogni necrologio si sofferma ora su don Gallo "prete degli ultimi". Quando Gallo sottolineava che «l'appartenenza alla famiglia umana è il senso laico di tutto», parlava proprio degli ultimi. Aveva ben presente che Balducci aveva sottolineato che il povero è «l'uomo così com'è» al di sotto delle determinazioni di classe e culturali. «L'impotenza di queste determinazioni ad assumere in sé il povero, l'uomo non determinato che dal solo fatto di esistere, è la riprova empirica che la persona è sempre al di là delle identità derivanti dall'integrazione sociale».
È una chiave per comprendere anche le azioni di don Gallo: il religioso genovese era semplicemente organico a quella porzione di mondo che non appare integrata nella storia. Quella storia, fatta dai potenti, non prevede un piano B, porta al disastro e distrugge il futuro, spegne la profezia e la speranza. Presso gli ultimi c'è invece il futuro, la profezia laica che libera dalle rigidità del presente. Pensare agli ultimi è una sorta di pensiero laterale che reinventa la logica, oltre la logica esistente. Se siamo integrati siamo editi, mentre nel povero c'è l'uomo inedito. La riscoperta di Balducci, richiamata in modo partecipe dal fondatore della comunità genovese di San Benedetto al Porto, vorrei usarla riproponendo in onore di Don Gallo queste parole balducciane: «il linguaggio profetico non è quello che si avventura in predizioni trascritte in calendari immaginari, è quello che denuncia l'inaccettabilità della città presente e descrive la città futura nella quale si sarà definitivamente avverata la coincidenza tra il possibile e il reale.»


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Dal libro di Andrea Gallo, "Così in terra, come in cielo":


Durante un tributo a Fabrizio De Andrè, a cui parteciparono i big della canzone, Dori Ghezzi «riservò 250 posti per me, e io mi presentai a teatro coi miei derelitti. Qualcuno dell'organizzazione intendeva mandarli nel loggione, confinarli lassù, con la scusa che non c'era più spazio a disposizione. "Non vi preoccupate" dissi "ci penso io." Fermai il traffico della sala e come un vigile li feci sedere in platea, tre qui, due là, tossici, barboni, prostitute accanto a notai, dame e politici.
"No, lì no" mi intimarono. "Lì ci va il ministro della Cultura Giovanna Melandri."
"Allora le mettiamo accanto una puttana delle vecchie case, vedrai come esce arricchita dall'incontro!"
Erano tutti molto preoccupati, mi chiedevano garanzie su ciò che sarebbe successo e io li tenevo sulle spine rispondendo che non potevo saperlo, essendo io un prete, non un indovino. Invece sapevo benissimo ciò che poi accadde: i miei emarginati erano quelli che durante le canzoni piangevano veramente.»





19 maggio 2013

SEALs uccisi nel 2011: famiglie contro governo

di Press TV.

CON NOTA DI MEGACHIP IN CODA ALL'ARTICOLO.
Le famiglie dei commandos USA uccisi nel 2011 in  occasione dell'abbattimento di un elicottero nell'Afghanistan orientale hanno accusato Washington per l'attentato e il successivo insabbiamento, secondo un articolo.
Come riferito lo scorso 9 maggio dal «Washington Times», i parenti delle vittime individuano in capo alla Casa Bianca la responsabilità per l'abbattimento e il susseguente insabbiamento dell'inchiesta sull'attentato all'elicottero Chinook della marina militare USA nell'agosto 2011, che trasportava 38 persone tra cui 17 membri del SEAL Team Six.
Secondo i familiari delle vittime, l'amministrazione del presidente USA Barack Obama e altri funzionari della Casa Bianca «hanno trasformato in bersagli» i loro cari dopo che avevano annunciato che fu il SEAL Team Six ad uccidere Osama bin Laden.
Anche i militanti talebani furono destinatari di informazioni, trapelate proprio dal governo degli Stati Uniti, sul sito di atterraggio dell'elicottero, che resero il velivolo vulnerabile ai loro attacchi, hanno aggiunto i familiari.
«[I militanti] erano posizionati in una torre, in un edificio collocato nel luogo perfetto e nell'istante ideale per lanciare un attacco al CH-47, nel momento in cui era maggiormente vulnerabile», ha dichiarato Doug Hamburger, padre del sergente Patrick Hamburger, deceduto a bordo dell'elicottero Chinook.
I soldati caduti furono trasportati verso il sito di atterraggio con un elicottero Chinook dell'epoca del Vietnam, anziché con i consueti aeromobili delle forze speciali.
I membri delle famiglie hanno contestato anche l'improvvisa sostituzione di sette commandos afghani a bordo dell'elicottero, appena prima del suo decollo. Inoltre, l'amministrazione Obama e il Comando Centrale USA sono stati bersaglio di pesanti critiche per non essere riusciti a condurre un'indagine completa sull'attentato, con i familiari che fanno appello al governo affinché risponda dell'insabbiamento.
«Non era un'indagine approfondita. È una vergogna che si debba essere proprio noi in quanto genitori a richiedere un'inchiesta del Congresso per scoprire le risposte», ha dichiarato Hamburger.
Il bilancio delle vittime contrassegna il più grande singolo incidente per le forze straniere dopo l'invasione in Afghanistan a guida USA dal 2001. Gli Stati Uniti invasero l'Afghanistan con il pretesto di combattere il terrorismo. L'offensiva ha sì rimosso i talebani dal potere, ma l'insicurezza continua a crescere in tutto il Paese, nonostante la presenza di migliaia di soldati sotto il comando USA.
GMA / KA / SS
 
Traduzione per Megachip a cura di Ariel Pisanu.


Nota di Megachip

Per meglio inquadrare l'articolo, segnaliamo anche gli articoli in argomento pubblicati da Megachip nel 2011:
Già allora appariva davvero singolare che dopo tre mesi dai fatti di Abbottabad fossero già morti 17 su 25 componenti del Team Six dei Navy SEALs. Ad oggi, due anni dopo, un incidente dopo l'altro, siamo già a 23 morti su 25. La cosa risulta estremamente sospetta agli occhi dei loro parenti. E risulta altrettanto sospetta anche a noi, che - con buone ragioni - non abbiamo mai creduto alle assurde versioni governative sulle modalità dell'operazione che ha cancellato ufficialmente Osama Bin Laden.

La crisi europea: il sonno prima della rapina.

Strana e intorpidita atmosfera di maggio. Lo spread dorme, e gli allarmi non suonano. Ma nessuno è davvero tranquillo. Finché il 22 settembre in Germania si vota...

di Pino Cabras e Carlo Tia - da Megachip.

 
Strana e intorpidita atmosfera di maggio. Il grande spauracchio dello spread sembra assopito, abbastanza da non far suonare gli allarmi. Eppure nessuno è veramente tranquillo. Le banche non erogano quasi nulla, il senso di strozzamento dell'economia c'è ancora, e gli annunci di Beppe Grillo sul crollo che ci aspetta in autunno prendono consistenza. Sull'autunno si concentrano tante ansie. Quello che inizierà il 22 settembre non sarà il solito autunno. Quel giorno il popolo tedesco voterà.
Dopo di allora, chiarita la direzione che prenderà la Germania, la crisi si scongelerà pienamente in tutta Europa.
È perciò importante capire quali sono la vera faccia, la vera natura, gli attori principali, i mezzi utilizzati, il disegno ultimo di coloro che stanno demolendo l'Europa, la sua identità e i suoi popoli.
Occorre che afferriamo senza indugio il senso di tutto questo, pronti a trarne le conseguenze.
Ai piani alti non sono fermi. Stanno preparando progetti operativi che proseguiranno la destabilizzazione su scala continentale. Dovremo essere pronti a elaborare politiche e progetti alternativi per impedire alla Troika (composta da Banca centrale europea, Commissione europea e Fondo monetario internazionale) di proseguire nel suo cammino dittatoriale e, contemporaneamente, lanciare un concreto messaggio di speranza a milioni di Europei già in miseria o - come nel caso dell'Italia, della Francia, e, più tardi perfino della Germania - sul procinto di esserlo.
Molti obietteranno: anche la Germania? La Germania no. E invece sì. Il suo debito pubblico supera i 2 trilioni di Euro, molte casse di risparmio di proprietà pubblica sono da tempo in bancarotta tecnica, la Kommerzbank é sta già salvata più volte. Ma queste sono noccioline, in confronto ai numeri di un altro baratro. La Deutsche Bank, ossia il maggiore azionista della Bundesbank e della BCE, ha un record mondiale poco invidiabile: è la prima banca al mondo nella classifica esplosiva del rischio derivati (seguita dalla JPMorgan). L'istituto germanico ha in pancia oltre 55 trilioni di derivati a rischio "subprime". Detta in un'altra maniera, sono più di 55 milioni di milioni di euro, qualcosa come 35 volte il PIL dell'Italia.

È pur vero che il rischio è compensato in parte da posizioni di copertura per 23 trilioni di Euro presso altri grandi istituti bancari. Ma in momenti di crisi acuta un'assicurazione come questa è solo teorica, perché si basa su equilibri da catena di Sant'Antonio.
«Ma niente paura», ironizza Zero Hedge, «questi quasi 56 trilioni di euro di esposizione, se tutto dovesse andare davvero malissimo, sono coperti dai bilanciatissimi volumi di 575,2 miliardi di depositi, ossia appena 100 volte di meno. Naturalmente, nel caso di Deutsche Bank sarebbe a quel punto richiesto un prelievo un pochino più aggressivo del normale, seguendo le orme di Cipro».

I numeri sono da brivido, e gli equilibri fragilissimi, retti su meccanismi di fiducia sempre più volatili. Basta che una sola maglia di questa catena truffaldina si spezzi, e tutto il sistema mondiale salta in aria. A quel punto non ci sarà nessun "Quantitative Easing" o nessuna convulsa stampa di moneta elettronica o cartacea - da parte della FED,della BCE, della Banca del Giappone o della Banca d'Inghilterra, o di una Banca d'Italia rifondata a tempo di record - che potrà salvarci nell'immediato. L'atterraggio non è morbido.

Non c'è mossa politica, anche quelle di chi come noi vuole difendersi, che possa ignorare questa spada di Damocle che pende sulla condizione, già tragica, o sul punto di esserlo, di gran parte dell'Europa.
A Bruxelles sanno benissimo che molti degli istituti finanziari dell'Eurozona navigano in pessime acque. Seguire «le orme di Cipro» è più che un'opzione sul tavolo. La "Direttiva Barnier" sulla regolamentazione dei casi di insolvenza, in corso di preparazione, prevede in ultima istanza la "confisca" - parziale o totale - dei depositi e crediti correlati.
In altre parole,una spoliazione del risparmio dei depositanti.

Naturalmente ,dopo la maxirapina di Cipro,molti cittadini di Eurolandia disertano le banche, o, se già clienti, riducono al minimo i loro depositi. Perciò lo stesso commissario europeo Michel Barnier ha anticipato un provvedimento per far sì che - lo vogliano o no - i 59 milioni di cittadini che non tengono ancora il loro denaro in banca, vadano a depositarlo.
La crisi non è più solo una questione di solvibilità, ma di fiducia nel sistema politico-istituzionale che ci governa dai tempi della rimozione del Muro di Berlino. Un sistema che aumenta via via il tasso di illegalità e illegittimità dei suoi provvedimenti.
La "Direttiva Barnier" è ancora in corso di riservata gestazione. Ma l'impianto é ormai delineato. In pratica, il "salvataggio" di una banca di Eurolandia ricadrà in buona parte sui depositanti-risparmiatori.
Le linee fondamentali della direttiva sono state preannunciate dallo stesso Barnier, durante una recente conferenza stampa. Il testo finale dovrà essere approvato dal Consiglio Europeo del 27/28 Giugno 2013. Non sono da escludere importanti sviluppi che potranno influenzare nel frattempo la stesura finale. Il 18 maggio è la data limite del superamento del tetto del debito USA, inevitabile. Come reagiranno quelle entità impropriamente definite "mercati", ossia gli speculatori finanziari, comprese le grandi banche?

Il tema dei prelievi forzosi dal risparmio depositato in banca non si ferma qui. Il Consiglio europeo del 22 Maggio ha all'ordine del giorno una normativa di coordinamento delle politiche fiscali. Oltre alle misure di armonizzazione fiscale, è prevista la tassazione dei depositi di risparmio: ad esempio, in Francia, i depositi sul "Livret A" - sino ad ora esenti e con un tetto massimo di 25mila Euro - cadranno non solo sotto la scure invisibile dell'inflazione reale (Istat ed Eurostat non calcolano tassi attendibili), ma anche sotto la tassazione imposta ope legis dall'Unione Europea.
Se i depositi verranno confiscati, in tutto o in parte, in caso di insolvenza, e a questo si unirà la tassazione forzosa dei risparmi, queste saranno altrettante scintille che faranno esplodere la polveriera dell'Euro moneta privata.

Niente di nuovo sotto il sole quel che ne conseguirà: il ritiro in massa dai depositi bancari prima, il crollo sistemico delle banche poi, una depressione terrificante infine, dagli esiti imprevedibili.
Quel che resterà dell'Europa potrà soltanto ricorrere alle riserve auree e a quelle in divise straniere "solide": fra queste, data la situazione finanziaria USA, non rientra il dollaro.
Ora come ora non dobbiamo aspettarci nulla da un governo Letta-Berlusconi ad alto tasso Bilderberg. Fin qui il governo si regge e rimane in campo con lo spread basso per consentire ad Angela Merkel di arrivare al 22 settembre, senza aggiungere altri incontrollabili guai ai già troppi disordini, al netto della capacità dei maggiordomi italiani di crearne maldestramente comunque.

Come difendersi, allora? Il tempo è scaduto, e l'opposizione deve crescere molto in fretta. Dovrà elaborare in fretta un piano B, visto che Draghi e soci non lo contemplano neppure. E far diventare quel piano materia di schieramento politico che faccia l'opposto di quel che si è fatto finora. 
 

5 maggio 2013

Torture e 11 settembre 2001: stretta interconnesione

di Giulietto Chiesa - Il Fatto Quotidiano.


Sono lieto di annunciare, con largo anticipo che, a cominciare dal prossimo settembre, dodicesimo anniversario dell’attentato terroristico dell’11/9, partirà su scala mondiale una campagna di sensibilizzazione promossa da ben 12 organizzazioni, in maggioranza statunitensi. E’ utile darne l’elenco per fare in modo che tutti coloro che vogliono possano verificare la solidità del loro lavoro.
L’iniziativa è partita da Architect & Engineers for 9/11 Truth è ha trovato l’appoggio di altri 11 raggruppamenti. Eccoli:
1. 9/11 Truth and Justice Canada; 2. NYC CAN; 3. Occupy 9/11; 4. The Greater Boston Alliance for 9/11 Truth and Justice; 5. Citizens for an Informed Community; 6. The 9/11 Consensus Panel; 7. Citizens Aware and Asking; 8. 9/11 Blogger; 9. 9/11 Journey for Truth; 10. Over a hundred local 9/11 truth groups; 11. The Thrive Movement.
Chi scrive è parte di questa azione in qualità di membro – come sanno i lettori di questo blog – del 9/11 Consensus Panel
L’azione, denominata Operation Tip the Planet (OTP)  si concretizzerà nella produzione di un unico messaggio, che apparirà simultaneamente  in centinaia di città, in tutte le lingue più diffuse, riprodotta in manifesti, volantini, insegne pubblicitarie, adesivi, t-shirt e, ovviamente, in decine di migliaia di siti internet, di blog, di conferenze pubbliche, di proiezioni cinematografiche. 
Questa informazione è un primo invito a aderire e a cominciare a pensare come far diventare questo un evento tale da scuotere l’opinione pubblica internazionale su una questione che resta ancora sconosciuta alla grande massa dei pubblici di tutto il pianeta. Chi vuole saperne di più e seguire i lavori preparatori (in particolare è in corso una larga discussione che dovrà giungere alla definizione del testo finale del messaggio) potrà farlo attraverso il sito AE911Truth.org. Colgo l’occasione per informare che gli architetti e ingegneri di tutto il mondo, che sono giunti alla conclusione che la versione ufficiale sull’11/9 è un falso, sono ormai diventati 1908 al momento in cui scrivo. 
Questa campagna ha trovato alimento in decine di nuove circostanze e scoperte, di cui parlerò dettagliatamente tra qualche giorno, esponendo i risultati delle ultime sessioni del 9/11 Consensus Panel. 
Ma la prima di esse è stata la pubblicazione del cruciale rapporto di una commissione parlamentare americana di 11 membri, denominata “Constitution Project” che, attraverso 16 mesi di lavoro e 557 pagine, è giunta alla conclusione che, negli anni che sono trascorsi dall’11 settembre 2001, “è fuori discussione il fatto che gli Stati Uniti sono stati impegnati in pratiche di tortura” e che i più alti funzionari della nazione portano la responsabilità di questi fatti”. Le virgolette sono opera dell’autore di un articolo del New York Times, Scott Shane. L’articolo è stato pubblicato nella prima pagina del giorno 16 aprile, immediatamente precedente l’attentato terroristico di Boston. E, anche per questa ragione, è rimasto largamente soverchiato dalle drammatiche notizie che si sono succedute nelle settimane successive. 
Che c’entra questa notizia con l’11 settembre 2001? C’entra, e molto, perché – come ben scrive Shane – il Constitution Project fu istituito come risposta alla decisione del Presidente Obama, nel 2009, di non sostenere la richiesta del senatore Patrick Leahy, democratico del Vermont, di investigare sul contenuto dei programmi antiterrorismo delle varie agenzie americane. Rifiuto che faceva il paio con il mantenimento della segretezza più assoluta attorno a un altro rapporto senatoriale sui sistemi d’interrogatorio che furono usati per far parlare i prigionieri catturati come terroristi. E’ ormai largamente noto, e perfino ufficialmente riconosciuto, che alcune delle “confessioni” dei presunti organizzatori dell’attentato alle Twin Towers e al Pentagono, vennero estorte con la selvaggia applicazione del waterboarding, in specie nei confronti di Khaled Sheikh Mohammed. Quelle confessioni, il cui valore legale è nullo anche negli Stati Uniti, furono alla base delle conclusioni (dunque invalide ab ovo) del famigerato rapporto della “9/11 Commission Report.”  
La motivazione del rifiuto di Barack Obama fu – continua Shane – che egli voleva “guardare avanti e non indietro”. Detto in altri termini, Obama coprì il suo predecessore in tutti i modi possibili. Un vero continuatore e seguace del “torturatore in capo”. Dunque nulla di ciò che è stato ufficialmente rivelato ha alcuna base legale e la tortura è servita solo a truccare le carte ancora più clamorosamente. 
E a certificare tutto ciò c’è ora il lavoro ufficiale di una commissione americana, non di qualche gruppo isolato di presunti “complottisti”. Commissione del tutto bipartisan essendo co-presieduta da  due ex membri del Congresso con ampia esperienza in partecipazione a cariche amministrative nel governo, come Asa Hutchinson  (Repubblicano) e James R. Jones (Democratico), che hanno prodotto “il più ambizioso tentativo indipendente di valutare i programmi di detenzione e interrogazione americani”. E, si tenga conto, questo lavoro non ha potuto esaminare un rapporto di oltre 6000 pagine del Comitato senatoriale per l’intelligence, basato sui documenti originali della CIA. Non ha potuto perché Obama lo ha coperto con il segreto di Stato. 
Dunque il “caso torture” e il “caso 11 settembre” sono interdipendenti e restano aperti più che mai. Anche perché i terroristi con passaporto americano e i torturatori sono, se non parenti stretti, sicuramente amici gli uni degli altri. E i primi sono ancora al potere negli Stati Uniti d’America, ovvero abbastanza forti da poterne condizionare gli atti.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/05/torture-e-11-settembre-2001-stretta-interconnesione/583874/#disqus_thread.




Boston: una prova generale?

Le controverse e bizzarre versioni ufficiali e ufficiose dell'attentato di Boston, l'ombra dell'FBI sulle biografie degli attentatori, le esercitazioni di sicurezza (come sempre nei grandi attentati), le impressionanti lacune dei principali organi di informazione, una metropoli sotto assedio. Il massimo indiziato è ora muto, ma i media non stanno meglio.


di Giulietto Chiesa Megachip.

Il mainstream peggiora a vista d’occhio. E, tanto più peggiora, tanto meglio si vede in filigrana quando mente (anche se non è facile, di primo acchito, vedere quanto mente).  Peggiora ma non pare destinato, per il momento, a passare a miglior vita. Infatti viene sostenuto da possenti iniezioni di morfina, che lo rendono , se non più sano, quanto meno abbastanza arzillo.  Io, da modesto cronista, l’ho seguito con grande attenzione nelle sue circonvoluzioni: dalla narrazione che imbastì a proposito della fine dell’Unione Sovietica, all’esaltazione della figura di Boris Eltsin, dipinto a tinte pastello come il primo presidente democratico della nuova Russia, mentre era soltanto un Quisling ubriacone che la Russia la svendette, privatizzandola, tutta intera, con la modica spesa di 10 miliardi di dollari (sottolineo, dieci miliardi di dollari).
L’ho seguito, il mainstream durante gli eventi dell’11 settembre 2001, a volte perfino ammirato della sua spettacolare potenza. Non si poteva non restare affascinati dalla capacità planetaria con cui riuscì prima a raccontare che il colpevole era stato Osama bin Laden, insieme a 19 terroristi semi-analfabeti, naturalmente islamici, poi a chiudere bruscamente e per sempre (forse) la pagina, dimenticandola insieme ai prigionieri di Guantanamo. Che infatti sono ancora là a prendere il sole di Cuba senza essere stati gratificati nemmeno da un qualche modesto capo d’accusa, in compenso definiti sbrigativamente “nemici combattenti”, che solo Bush sapeva cosa volesse dire.
Ma questa è ormai storia. L’altro giorno ho parlato agli studenti del primo anno universitario in una facoltà del Veneto. La gran parte di loro nemmeno sapeva che c’era stato un 11 settembre 2001. A riprova del fatto che il mainstream – quanto a copertura (nel senso proprio di coprirli per impedire che si vedano) degli eventi reali - è più efficace di un monastero di clausura.
Quello che accade in questi giorni è dunque poca cosa rispetto a eventi di quella portata. Spiccioli, loose change, direbbero gli americani. Ma gustosi. Prendiamo per esempio le bombe di Boston. Ho seguito con pignoleria le cronache americane (di quelle italiane si poteva fare a meno essendo banalmente copiate da quelle), per accorgermi, con curiosità crescente, che la storia ufficiale, minuto per minuto, si allontanava dalla ragione per entrare nei meandri del più fitto mistero, poi della più banale confusione, per infine perdersi nella menzogna più spettacolare, del più trito grand guignol.
Il fatto che i due “terroristi” fossero stati individuati così in fretta parrebbe dimostrare grande efficienza dell’FBI di Boston. Se non fosse che, alcuni giorni dopo, emerge dal New York Times che i due daghestan-ceceni erano tutt’altro che sconosciuti allo stesso esimio Federal Bureau of Investigation. Il quale li teneva sotto controllo da ben due anni. Sapeva tutto di loro, li aveva già interrogati, aveva seguito con la massima cura il ritorno in patria di Tamerlan (una “patria” che gli era quasi sconosciuta visto che aveva passato tutta la sua giovinezza negli Stati Uniti, ma opportunamente riportata in primo piano, guarda caso, proprio, si può dire, alla vigilia dell’attentato).
Vengono alla mente i viaggi di Lee Harvey Oswald a Cuba e poi nell’allora Unione Sovietica. Fatti apposta, con largo anticipo, allo scopo trasparente (ma il mainstream non vede le cose trasparenti, vallo a spiegare a Vittorio Zucconi!) di preparare la tesi, subito poi abbandonata, che Oswald fosse stato inviato dal KGB a uccidere John Kennedy. Non ce ne fu bisogno perché si trovò presto Jack Ruby che fece fuori Oswald con due colpi di pistola di fronte alle telecamere americane. Per poi morire “di cancro”, a sua volta, prima che un processo potesse chiarire come mai aveva sparato a Oswald. Il quale ultimo, prima di spirare, si accorse – e lo disse – di essere stato un “capro espiatorio”.
Ma questa è una parentesi. Passano i giorni e non viene fuori una sola motivazione che avrebbe potuto spingere i due fratelli Tsarnaev, il giovane Dzhokar e il poco più anziano Tamerlan, a mettere le bombe. Mentre scrivo – e sono già trascorse due settimane abbondanti – ancora non c’è una motivazione, una rivendicazione, uno straccio d’idea in materia. Quello che conta è la loro “origine cecena”. Si sa, i ceceni sono cattivi e terroristi per doppia definizione: la seconda è che sono islamici. Uno dei due è stato ufficialmente ammazzato subito dopo l’attentato in un “conflitto a fuoco”, e dunque non parlerà più. L’altro, Dzhokar, è stato trovato ferito e non armato, ma pare che non potrà più parlare essendosi inflitto da solo una ferita ammutolente. Per lo meno così ha dichiarato il sindaco di Boston, Thomas M. Menino. In ogni caso, per evitare che possa un giorno dire cose sconvenienti, si sta ancora valutando l’opportunità di trattarlo come “potenziale nemico combattente” (guarda che fantasia!), in modo che possa essere interrogato al di fuori del sistema legale garantito (per ora) a tutti i cittadini, senza la presenza di un legale e senza essere stato avvertito - pensate ! – che egli potrebbe “involontariamente autoaccusarsi” (International Herald Tribune, 22 aprile 2013).
Nel frattempo dilagano sui giornali le ricostruzioni di tutti gli attentati effettuati dai ceceni in diverse città della Russia nel corso degli ultimi vent’anni. Pagine e pagine, ma non si riesce a capire cosa c’entri Beslan, o Mosca, con questa faccenda di Boston. Non ci si riesce perché nessuno riesce a trovare alcun nesso decente. Ma così si fanno i giornali e così si sparano le notizie in tv. Attentati molto sanguinosi, come sappiamo, ma servono a insinuare sottopelle l’idea – razzista - che da quelle parti è “logico” che nascano terroristi. Per altro il giovane Tsarnaev, seppure la famiglia sia di origine cecena, è nato in Daghestan e fu subito trasferito negli Stati Uniti, dove viveva da molti anni, piuttosto floridamente. E – riferiva uno dei suoi professori alla Darthmouth University of Massachusetts, il professor Bryan Glin Williams - ne sapeva così poco della sua “patria” che, richiesto di scriverne, andò a chiedere informazioni al proprio docente. Terrorista, dunque, ma anche ignorante. Al massimo si potrebbe concludere che ce l’avesse con i russi, che avevano deportato i ceceni in Asia Centrale, ai tempi di Stalin. E, dunque, se avesse voluto mettere bombe, sarebbe andato a Mosca. Dove, in ogni caso, non avrebbe potuto far saltare in aria altro che la tomba di Stalin. Tutto salvo mettere bombe a Boston: non si riesce a capire il perché.
Dovrebbe essere già chiaro fin d’ora che, in questa storia delle due bombe di Boston, ci sono troppe oscurità per essere bevuta tale e quale. Eppure mai che qualche giornalista, sia locale che nostrano, avanzi qualche sospetto. Tutti allineati e coperti. I buchi e le voragini di questa storia sono talmente evidenti che un normale professionista non può non accorgersene. Invece vengono allineate, per il colto e l’inclita, ondate di interrogativi sui possibili legami tra i fratelli Tsarnaev e la famosa, ma ormai in disuso, Al-Qa'ida. Solo Giovanna Botteri, ogni sera, tirava fuori questa tesi, caldeggiata dalla altrettanto famosa, e non per caso, ammiraglia televisiva mondiale detta CNN. Salvo poi riferire improvvisamente, una sera, agli assonnati telespettatori del TG3Notte, che la CNN si scusava pubblicamente per avere raccontato troppe frottole nei giorni precedenti. Frottole dovute alla fretta, naturalmente, raccontate in buona fede, niente malizia. E la Botteri ne approfittava, insieme al Mannoni sonnecchiante, per tessere le lodi della CNN, capace di emendarsi dei suoi errori. Vedi come funziona bene il mainstream? Dobbiamo inchinarci anche quando mente. Infatti mente con sincerità.
Tuttavia, nonostante le scuse e le rettifiche, le cose che non quadrano si moltiplicano. I due bombaroli daghestan-ceceni avrebbero appena massacrato un po’ di persone con pentole a pressione piene di esplosivo (pare) – non senza essere accuratamente fotografati, insieme, sul luogo del delitto; ed eccoli andarsene in giro per la città, trasformata in zona di guerra (e resterà in quelle condizioni per dieci giorni consecutivi anche dopo la liquidazione fisica del “commando ceceno”), fino ad ammazzare, senza apparente motivo, che non fosse quello di appropriarsi della sua pistola, un giovane poliziotto di guardia all’università, che se ne stava quietamente seduto nella sua auto di servizio. Ma non erano già armati? E, essendo ricercati da migliaia di agenti, non sarebbe stato più logico che se ne stessero rintanati da qualche parte? No. Sparacchiano e assaltano automobili. A un certo punto della serata, non si sa a che ora, un giovanotto (uno solo, e l’altro dov’è?) – che, tanto per far capire bene chi era, si dichiara subito come l’autore dell’attentato di poche ore prima - assalta un SUV e si fa portare in giro per Boston e dintorni. Il giovane esibisce una pistola, mostra al terrorizzato conducente che c’è un colpo in canna, si vanta delle sue gesta. Tutto questo lo sappiamo dalla “dichiarazione giurata” del conducente del SUV. Di cui però non viene rilasciato il nome e il cognome. Ma deve trattarsi di persona coraggiosa, poiché riesce a fuggire al suo rapitore durante la sosta in una stazione di servizio. Poi la sparatoria con i poliziotti, in cui Tamerlan viene ucciso, mentre Dzhokar riesce a fuggire.
Solo che emerge dal web un filmato in cui si vede benissimo un uomo completamente nudo che viene infilato a forza in una vettura della polizia. E’ notte, le immagini sono poche, ma i fari delle auto della polizia e le luci roteanti rosse e blu sono sufficienti a mostrare con nitidezza la scena. C’è anche, sul web, la dettagliata intervista di una televisione locale a un testimone oculare del fatto. Il giovanotto non risulta ferito. Si muove agevolmente, si copre le pudenda con le mani. E’ aitante, sicuramente giovane. Chi è? Perché è nudo? Possiamo ipotizzare che i poliziotti che l’hanno arrestato lo abbiano spogliato completamente per eliminare il timore che fosse imbottito di tritolo? Penso che sia un’ipotesi legittima. Forse hanno sbagliato persona? Forse. Ma la madre – cui il filmato viene immediatamente mostrato - da Makhachkalà grida: “E’ mio figlio, è Tamerlan!”. Inutile citare qui tutte le fonti. Basta andare su YouTube e se ne trovano a decine, l’una più sorprendente dell’altra. A riprova che fabbricare attentati diventa sempre più difficile, nonostante la sorpresa. Perché c’è sempre qualcuno che riprende le immagini, o che va ad analizzare le immagini fornite dalle tv del mainstream, e scopre un sacco di cose che gli operatori del mainstream, non informati preventivamente, hanno involontariamente mostrato.
Ahinoi! Qualcosa è andato storto. Se era Tamerlan, ed era vivo e nudo, allora non funziona più la tesi dello scontro a fuoco con la polizia in cui è stato ammazzato. Va bene, da qui non si può sapere niente e non possiamo concludere niente, sebbene il cuore di una mamma, come ci è noto da De Amicis e da De Filippi (Maria) , non sbagli mai. Tuttavia qualche giorno prima, del tutto inaspettatamente, si era aperta un’altra pista tipo Al-Qa'ida. Mentre tutti gli Stati Uniti erano in stato di allerta, in attesa di nuovi attentati dinamitardi (che non potevano più essere opera di Tamerlan, defunto, e di Dzhokar, muto) ecco apparire le lettere al ricino. Due per la precisione. Una addirittura inviata a Barack Obama, fermata dai sistemi di controllo esterni alla Casa Bianca, e l’altra al senatore Roger Wicker, repubblicano del Mississippi. Allora c’è una strategia di grandi dimensioni, e l’America è sotto attacco? Oppure era una variante di contorno, prevista per sviluppi di altro genere, come lo furono le lettere all’antrace che apparvero nei giorni successivi all’11 settembre 2001?
Si ricorda che le indagini a proposito di quelle lettere portarono, dopo qualche anno, alla scoperta che l’antrace era stato prodotto in un laboratorio militare statunitense e la faccenda finì con qualche incriminazione e qualche suicidio. Del ricino post Boston si sono invece perdute le tracce. Sebbene una considerazione elementare dovrebbe indurci obbligatoriamente alla conclusione che le lettere al ricino non potevano essere comunque il prodotto della furia assassina dei fratelli daghestan-ceceni, e, dunque, che c’era qualcun altro a tessere le fila. O, forse, si è trattato di una coincidenza, spettacolare come tutto il resto. Se non fosse che – le coincidenze si moltiplicano – sempre sul web si assiste a una girandola impressionante di testimonianze visuali che dimostrano come sul luogo degli attentati siano avvenuti eventi assai strani. Ci sono feriti che hanno perduto entrambe le gambe, maciullati dalle bombe, che restano vivi nonostante ferite che provocherebbero il dissanguamento e la morte in pochi minuti. Che vengono fotografati con grande dettaglio, con esibizione di monconi sanguinanti e scomposti, ma che risulterebbero poi reduci di guerra già regolarmente dotati di protesi. E’ il caso del colonnello Nick Vogt, (1° battaglione del 5° reggimento di fanteria, 1ª Brigata di combattimento d’urto, 25ª Divisione di fanteria) che perdette le gambe mentre era in combattimento a sud di Kandahar, Afghanistan. Il quale figurerebbe in molte fotografie professionali come mostruosamente maciullato dalla bomba. Che ci faceva Nick Vogt alla maratona di Boston? Cosa c’entrava tutto quel sangue rappreso, tutti quei filamenti di carne, attorno ai suoi moncherini da gran tempo cauterizzati? Ovviamente c’è chi giura che invece non è lui. Ma è lecito pretendere un’indagine che chiarisca i tanti punti controversi, come questo.
Si vedono (prima delle bombe) massicci personaggi che sembrano telefonare. Giubbotti neri, pantaloni beige, scarponi beige, con grossi zaini militari appesi alle spalle. Hanno l’aria di guardinghi poliziotti in borghese, ma quei grossi zaini neri non si spiegano con le funzioni di vigilanza (che poi, va detto, non ha funzionato affatto, come gli eventi hanno dimostrato). Ma probabilmente non erano là per vigilare. Risultano vestiti come i Navy Seal, ma non sono poliziotti, né militari. Hanno l’aria di una squadra di “contractors”, mercenari che stanno svolgendo “altre funzioni”. Se ne vedono ben cinque, tutti con la stessa divisa, e alcuni portano distintivi di una organizzazione che risponde al nome di Craft e che ha un motto davvero eloquente: “Despite what your mamma (sic!) told you… Violence does solve problems” (A differenza di ciò che ti ha detto la mamma… la violenza risolve i problemi). Dopo l’esplosione si vede un altro giovanotto che se la dà a gambe ad alta velocità e con destrezza, molto sano, molto atletico, con i pantaloni sbrindellati. Una telecamera lo insegue, e lo vede sparire tra la folla. Uno degli attentatori? Ma vi pare che l’attentatore se ne va a spasso a pochi metri (pantaloni sbrindellati) dalla bomba che ha appena piazzato?
In uno di questi filmati vengono ingranditi i due dispacci del Boston Globe che, uno dietro l’altro, raccontano la verità pochi minuti prima della tragedia. Ecco il primo: “Officials: there will be a controlled explosion opposite the library within one minute as part of bomb squad activities” (Funzionari: ci sarà tra un minuto una esplosione controllata di fronte alla biblioteca come parte delle attività di una squadra di artificeri). Ecco il secondo: “Breaking News: police will have controlled explosion on 600 block on Boylston Street” (Ultime notizie: la polizia effettuerà una esplosione controllata al n. 600 di Boylston Street). Ma, scusate, vi pare credibile che la polizia effettui “esplosioni controllate” nel bel mezzo di una manifestazione piena di gente?
Ho impiegato diverse ore a esaminare con cura decine di questi filmati. Alcuni sono palesemente “fake”, prodotti da dilettanti che si lanciano in analisi improbabili. Altri potrebbero essere prodotti “fake”, fatti apposta per creare confusione e screditare prodotti più seri. Altri sono prodotti opinabili, ma costituirebbero materiale importante in una inchiesta degna di questo nome. Infine ce ne sono parecchi che – come quelli appena citati (e sono solo alcuni nel gran mare) – forniscono le prove dell’inganno architettato a uso e consumo dei media che dovranno diffonderlo in giro per il mondo. Chi c’è dietro questa messa in scena? L’impressione del cronista è di trovarsi di fronte a una “rete canaglia” di terroristi, strettamente legata a settori chiave del mainstream americano
Ora non ci resta che aspettare che la sagacia dell’FBI, e della CIA, rimetta insieme i pezzi di questo puzzle insensato. Ma non riusciamo a sottrarci all’impressione che i poveretti Dzhokar e Tamerlan Tsarnaev siano da includere nella lunga lista dei “capri espiatori”. Quanto alle coincidenze esterne non sarà inutile ricordare che, proprio quel giorno dell’attentato di Boston, Barack Obama subì la sconfitta, nel Senato, del suo progetto di legge di limitazione delle vendite di armi ai cittadini americani. Magari non c’entra niente, ma io lo terrei presente. Soprattutto terrei presente il fatto che quello stesso 16 aprile il New York Times metteva in prima pagina un articolo, a firma Scott Shane, intitolato così: “US tortured detainees after 9/11, report says” (Gli Stati Uniti hanno torturato i prigionieri dopo l’11 settembre, così afferma un rapporto). Il rapporto, di 557 pagine, meritava la prima pagina, onore al merito del New York Times, essendo completamente bipartisan, firmato da due ex deputati con esperienze di governo: un repubblicano, Asa Hutchinson, e un democratico, James R. Jones. Sedici mesi di lavori, che presero avvio dopo che – scrive Scott Shane – “il Presidente Barack Obama decise nel 2009 di non sostenere la creazione di una commissione nazionale per indagare sui programmi antiterroristici del post 9/11, come invece aveva proposto di fare il senatore Patrick Leahy, democratico del Vermont, insieme ad altri. Obama disse allora che egli preferiva «guardare avanti e non indietro»”. Cioè coprì le gesta del suo predecessore, condividendone le responsabilità.
Come ha detto uno che di queste cose se ne intende (tant’è che fu chiamato ad aiutare Cossiga nei giorni del rapimento di Aldo Moro, tre volte nei centri vitali della sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America), Steve Pieczenick, è del tutto evidente quali titoli di giornali di tutto il mondo avrebbero potuto oscurare, relegandola nel dimenticatoio, il giorno dopo, una notizia di queste dimensioni, che metteva sotto accusa, direttamente, gli ultimi due presidenti degli Stati Uniti. Infatti proprio così si è verificato. Nessun giornale italiano mainstream ha riportato l’articolo del New York Times.
Ma c’è anche un’altra interpretazione possibile, che non contraddice affatto le appena citate. Due presunti terroristi daghestan- ceceni, subito catturati e messi in condizioni di non nuocere, sono stati sufficienti per mettere letteralmente in stato d’assedio, per una intera settimana, una grande città del Nord America. Gli abitanti di Boston e dintorni sono stati bloccati nelle loro case, le attività lavorative sono state fermate, la città è stata spenta e gettata nel panico. Ha tutta l’aria di una “prova generale” per qualche cosa che si sta preparando da tempo. Il programma dei 30 mila droni, destinati a pattugliare il cielo degli Stati Uniti, sembra stato pensato in questa chiave: non (solo) per abbattere i terroristi in ogni parte del mondo, ma per sorvegliare l’America in nome della sicurezza dei cittadini.

Nota.
Ecco alcuni dei link (tra i moltissimi disponibili) che ciascuno, avendo il tempo, potrà visionare per farsi un’idea delle cose che ho appena esposto:
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Fonte: http://www.megachip.info/finestre/zero-11-settembre/10204-boston-una-prova-generale.html
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