21 marzo 2014

Sakineh è libera. Come previsto

di Pino Cabras.

È di nuovo a piede libero Sakineh Mohammadi-Ashtiani, la donna iraniana che aveva ucciso il marito. Concita De Gregorio, quand'era direttrice de l'Unità, mise il suo volto accanto alla testata per mesi e mesi.
Ma Sakineh non è stata impiccata, no davvero. Eppure gli allarmi rilanciati fino a l'altro ieri erano fortissimi: stanno per ucciderla, sì, lei, quella che rischiava la lapidazione perché adultera. In realtà perché donna in un regime che odia le donne. Ma non era vero niente.
Giulietto Chiesa e io abbiamo dedicato un intero capitolo all'incredibile manipolazione legata a Sakineh nel nostro libro "Barack Obush". Le notizie sull'uxoricida iraniana erano in un universo parallelo, in cui l'informazione fingeva di non vedere i dettagli. Soprattutto quelli che avrebbero fatto sgonfiare il caso già da tempo.
I media ignoravano ad esempio la minuzia secondo cui la legge iraniana pone l'esecuzione della pena di morte per omicidio a discrezione dei familiari della vittima. E già allora era possibile sapere che i congiunti del marito accoppato da Sakineh (e dal di lei amante) avevano rinunciato a chiedere la pena di morte. In Iran si è sempre fatto largo uso della disposizione che permette di annullare l'esecuzione delle pene, inclusa quella capitale, se sopravviene il perdono dei parenti delle vittime. Ed era così anche per lei. Bastava chiederlo.
Ma la fabbrica delle notizie sul caso serviva per far montare un'isteria anti-iraniana, in funzione di una demonizzazione, un clima di guerra. Non si contano gli articoli grondanti falsità scritti in proposito da Bernard-Henri Lévy.
Centinaia di comuni italiani pavesarono le facciate dei municipi con gigantografie di Sakineh.

Intanto, il corpo di Teresa Lewis, una "Sakineh statunitense", giace dal 23 settembre 2010, giorno dell'esecuzione, in qualche dimenticato cimitero, senza che «l'Unità» si sia presa la briga di mettere una sola volta la sua foto a fianco della testata, come invece ha fatto ossessivamente per tanti mesi per l'imputata iraniana. La morte di Teresa mediante iniezione letale si è guadagnata soltanto qualche distratto trafiletto. Per lei, neanche una candela in piazza.

Come nascono queste distorsioni della percezione, il diverso peso di una vita rispetto a un'altra? Come mai un sistema penale è improvvisamente sotto gli occhi di tutti (l'Iran) e altri sono dimenticati (gli USA, l'Arabia Saudita?). Tutte le pene di morte sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre.
E allora possiamo concludere quello che era evidente fin dall'inizio.
I fomentatori della campagna su Sakineh sono stati abilissimi.
Si parte da una causa in sé giusta, su cui già si impegna Amnesty International come in mille altri casi che nessuno di norma si fila.
La si deforma stuzzicando il pregiudizio antiislamico e dipingendola come l'oppressione del Regime sulle donne.
La si personalizza nello stile del "reality show" in base all'assunto che se di un individuo conosci il nome automaticamente diventa un tuo "prossimo" e tirarti fuori sarebbe disumano. Come fai a fare un distinguo senza apparire cinico?
Si crea un evento permanente che poi cammina da solo e diventa di moda, con i VIP - compresi quelli davvero perbene - che accomunano la loro faccia e la loro lacrima con quel nome concreto.
Si lanciano coinvolgenti aggiornamenti che trascinano la stampa "progressista" e chi ha un approccio impegnato alle notizie. È perfetta, per subire l'operazione, la pancia della sinistra, un vero ventre molle della propaganda.
Infine si scarica il tutto sull'immagine demonizzata di Teheran per costruire il consenso preventivo alla prossima guerra contro l'Iran, durante la quale centinaia di migliaia di donne - come in Iraq e in Afghanistan - saranno lapidate dalle bombe di un Occidente così femminista da non voler disturbare con un ricordo i loro troppi nomi. Chi pianifica la guerra sa che tutto questo funziona, va proprio liscio, di lusso: basta vedere il consenso che ha fatto volare, meglio di qualsiasi propellente, gli ordigni all'uranio impoverito che hanno fatto strage di civili in Libia, mentre la sinistra istituzionale applaudiva.
Alla fine la storia vera, che aveva fatto da esca, viene dimenticata e resta soltanto il messaggio di esecrazione e di odio che è il vettore finale. Quello che, magari, resta lì, inattivo, sotto il filo della coscienza, per anni. Ma che risorge potente quando venga evocato da un'emozione improvvisa. Ecco, quando l'emozione improvvisa viene stimolata opportunamente, è la vigilia della guerra. Ma noi non lo sapevamo.
 
 
 
 
 

Nessun commento: