6 febbraio 2015

La guerra è la sola igiene del mondo? Prospettive 2015

di Piotr.
da Megachip
I tratti salienti del 2015 iniziano a delinearsi. Cercherò in futuro di analizzarli meglio, ma quelli centrali mi sembrano che vertano su alcuni punti salienti.

Due parole sul metodo
Come al solito non uso una sfera di cristallo, ma un po’ di logica applicata ai fatti. Alcuni sono fatti certi, altri sono il risultato di incroci di fonti informative di diversa provenienza e di diversa tendenza. Non ho servizi di intelligence a mia disposizione e quindi mi devo accontentare. Quelli che invece si accontentano di una sola fonte, di fatto si accontentano anche di essere ricettori passivi di servizi di intelligence. Data l’origine promiscua delle mie informazioni, requisito essenziale è non fare il tifo per una parte, ma cercare di essere un lettore equilibrato. Ciò non vuol dire che il mio cuore non stia dalla parte degli aggrediti, degli umiliati e degli offesi. L’osservatore puramente razionale e neutrale è una mostruosa finzione al servizio del pensiero dominante. Essere equilibrato nell’osservazione e nell’analisi non vuol dire essere indifferente, bensì analizzare con disincanto il maggior numero possibile di linee di forza in gioco per poter intervenire a vantaggio degli aggrediti, degli umiliati e degli offesi.
Non solo, per l’analisi del comportamento di entità statali e dei conflitti in corso tra loro non è né lecito né produttivo suddividere il mondo tra Buoni e Cattivi. Gli scontri geopolitici avvengono tra sistemi costituiti di potere che agiscono guidati dal criterio dell’interesse e dell’opportunità e quindi attraverso tali criteri devono essere interpretati e analizzati. Cosa che tra l’altro dimostra l’idiozia di insignire del Nobel per la Pace, che dovrebbe avere un significato etico, tali entità o i loro rappresentanti, qualunque essi siano.
Durante le crisi agiscono in primo o secondo piano anche entità substatali, che possono essere classi o raggruppamenti sociali di altra natura, o più precisamente rispecchianti le molteplici nature che emergono o riemergono quando un sistema di sicurezze viene messo in crisi e si aprono vistose crepe nell’ordinamento sociale, istituzionale e simbolico che fino a quel momento era stato sovrimposto all’intera società e in diversa misura accettato.
Un’entità substatale richiede un’analisi duplice, la prima riguardante la sua origine economica e sociologica (come ad esempio l’emarginazione) e quella simbolica e mitologica in senso lato (come la costruzione o ricostruzione di un’identità attraverso l’adesione a fedeltà ideali concepite come antagoniste dell’ordine emarginante; queste fedeltà ideali possono essere totalmente differenti e avere origini e storie situate agli antipodi: si pensi alla lotta di classe e allo jihadismo); la seconda riguarda il ruolo di queste entità nell’ambito dei conflitti tra quei sistemi di interessi e di rappresentazioni del mondo di ordine superiore che sono appunto gli Stati, quegli scontri cioè che caratterizzano le grandi linee di forza di ogni crisi sistemica. Tutto sommato questa è la lezione leniniana.
E’ bene quindi non applicare agli Stati giudizi di carattere morale per spiegare l’analisi del loro operato. Ovverosia, è da evitare di dare agli Stati giudizi etici essenzialistici, del tipo “lo Stato X è intrinsecamente aggressivo” o “lo Stato Y è amante della pace”.
Rispetto alle entità statali, la suddivisione da applicare è di altro tipo. In questo momento storico ritengo che la suddivisione più pertinente sia:
a) potenze che tendono alla guerra, attualmente gli Usa e poi l’Europa, perché non trovano altre soluzioni alle loro enormi difficoltà.
b) potenze che vogliono preservare la pace perché la guerra non gli conviene, come attualmente la Russia e la Cina.
Questo è quanto e non rivestirò questa differenza con altre qualità, riguardanti l’etica o le cosiddette “caratteristiche nazionali”, se non forse negli elogi o nelle invettive, che non sono moti propriamente razionali. Non perché l’etica non sia importante o perché non esistano “caratteristiche nazionali”, che ad ogni modo non dipendono da apparati simbolici particolari o da fenomeni metafisici come il “destino manifesto”, bensì dalla collocazione delle nazioni nella storia e nella geografia. Non uso questi criteri perché produrrebbero rumori di sottofondo in analisi per forza di cose stringate e che richiedono perciò di arrivare velocemente al dunque.

Le conseguenze del metodo
Diverse volte, anche se non sempre, questo metodo mi ha permesso di cogliere nel segno, come quando, purtroppo, ho previsto un sanguinoso attentato in Europa di matrice islamista,venti giorni prima della strage del Charlie Hebdo.
Ho però sbagliato quando scrissi che dalla signora Mogherini nella sua carica di Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Sicurezza della UE, mi aspettavo qualche guizzo di dignità e indipendenza. Così non è stato. La signora Mogherini si sta comportando come un ripetitore passivo del Minculpop atlantico. La sua richiesta di nuove sanzioni alla Russia motivate dal nulla ne è l’ennesima prova.
E il nulla è proprio il nulla, nel senso più stretto del termine.
Gli analisti militari indipendenti hanno stabilito che i proiettili che hanno ucciso i civili a Mariupol sono stati lanciati dalle forze armate ucraine, UAF, e caduti su Mariupol per errore (d’altra parte spessissimo la UAF bombarda a casaccio o con vistosi errori). Quindi non sono state lanciate dalle forze armate della Novorussia, NAF, che in quel momento non avevano in corso nessuna operazione militare nella zona di Mariupol (stavano invece combattendo nella zona di Donetsk).
In secondo luogo, che le forze armate russe stiano intervenendo nel Donbass è stato escluso dal Capo di Stato Maggiore ucraino, generale Viktor Muzhenko. Una dichiarazione che ha irritato tutto il menzognificio atlantico: 
 

Le due motivazioni per le sanzioni quindi semplicemente non esistevano. 

Può essere che la presa di posizione della UE sia “diplomatica” e nasconda manovre dietro le quinte. 

Ma mentre la UE fa i suoi giochi diplomatici e non riesce ad esprimere nessuna politica estera indipendente, ogni ora che passa in Ucraina si muore. 

Il re è nudo ma la coscienza dei dirigenti europei è invece opaca e anche su di essa pesano le morti non solo dei civili e dei soldati della Novorussia, ma anche di tutti quei giovani ucraini mandati allo sbaraglio in missioni disperate, fallite già prima di iniziare.
In questi giorni ci sono frenetici incontri incrociati, a Monaco, Kiex e Mosca, tra Kerry, Mogherini, Poroshenko, Hollande, Merkel, Lavrov e Putin. È successo sempre così quando la junta è stata sull’orlo di un disastro militare. E, come vedremo subito, oggi la junta è sull’orlo dell’ennesimo disastro militare.


Da questi incontri uscirà qualcosa di più di un ennesimo cessate il fuoco ad hoc? Lo spero ardentemente, ma non ci credo, non riesco a trovare nessun ragionevole motivo per crederlo. E Dio solo sa quanto sarei immensamente felice di sbagliarmi.

La guerra in Europa nel 2015
Partiamo quindi da qui. Il 2015 sarà l’anno in cui la crisi ucraina raggiungerà il punto di catastrofe, in senso matematico. Cioè subirà un cambiamento di forma radicale.
E’ la prima volta che mi dovrò soffermare sui particolari di un conflitto armato, ma occorre farlo. La guerra è e sarà uno degli ingredienti centrali dello sviluppo della crisi sistemica.
I dati parlano chiaro. La NAF, benché in enorme minoranza numerica (circa 20.000 combattenti e 15-20.000 addetti alle retrovie, alla sicurezza e alla logistica) è estremamente più motivata e più efficiente della UAF, a parte gravissimi errori come a Peski e Avdeevki, dovuti probabilmente a scontri interni alla dirigenza della Novorussia.
Attualmente a Debaltsevo circa 6.000-8.000 soldati ucraini, presumibilmente quasi la metà delle forze ucraine oggi effettivamente in grado di combattere, stanno per essere definitivamente chiusi in una sacca. Anzi, recentissime notizie danno la sacca ormai chiusa. Una sorta di piccola Stalingrado che potrebbe essere feroce se gli ucraini non si arrendono. In tutti i casi una sconfitta pesantissima per la junta di Kiev.
La NAF si è mossa molto lentamente, evitando di utilizzare tutta la sua potente artiglieria perché la città è piena di civili. Civili russofoni, quindi considerati sottouomini dalla junta. Non dimentichiamo che la Timoshenko dopo il golpe li voleva eliminare tutti con le atomiche: 
 

Oggi dovrebbe iniziare l’evacuazione. Un’operazione delicatissima, perché potrebbe essere boicottata dalla UAF assediata, dato che i civili sono l’unica ragione per cui l’artiglieria della NAF non si scatena e perché si presta a sanguinose provocazioni false flag.

Guardando il conflitto nel suo complesso, osserviamo che la NAF deve comunque frenarsi nello slancio. C’è un motivo militare: spingendosi in avanti avrebbe il problema di consolidare e mantenere linee molto lunghe con pochissimo personale. Ma c’è un motivo ben più importante, ed è politico. Mosca non desidera affatto che la NAF si faccia attrarre dalla prospettiva di un’espansione e tiene a freno i comandanti militari e politici più focosi, suscitando così accuse a Putin da parte dei nazionalisti russi di “tradire” il Donbass. Basta informarsi un po’ per sapere che le cose stanno così. A noi, al contrario, viene raccontato che Mosca sta spronando la NAF alla conquista dell’Ucraina. Menzogne costruite scientemente e ripetute da media ignoranti.
Nel campo ucraino solo i battaglioni di volontari sono motivati; e l’ideologia che li motiva purtroppo la conosciamo. La UAF è in seria difficoltà. Tutti gli ultimi attacchi (quelli che hanno rotto la tregua) sono stati di fatto missioni suicide, spiegabili solo dalla volontà statunitense di fare dell’Ucraina un punto di crisi permanente e di permanente divisione tra Europa e Russia. “Combatteremo la Russia fino all’ultimo ucraino”, non è più solo lo slogan virtuale di Washington, ma un dato di fatto. A volte i comandanti ucraini mentono apertamente ai soldati sull’obiettivo della missione. 
Come quei poveracci inviati a riconquistare il Nuovo Terminal dell’aeroporto di Donetsk ai quali avevano fatto credere fino all’ultimo che dovevano andare a “recuperare i feriti”. 
E’ stato un massacro, come si può capire da un video:
Avvertiamo che questo video è la versione non censurata delle immagini solitamente divulgate; non è un bello spettacolo ma nel vederlo si capisce l’orrore di quella guerra in mezzo all’Europa, a cui noi, colpevolmente, non prestiamo la minima attenzione.

Un alto responsabile degli uffici di reclutamento ucraini ha rivelato che interi villaggi sfuggono alla coscrizione rifugiandosi in Russia, aggiungendo “si stenta a crederlo, proprio in Russia”. Solo una persona obnubilata dall’ideologia di guerra può stentare a crederlo. Un quotidiano ucraino ha scritto che la 4ª mobilitazione, l’ultima, ha visto l’80 per cento dei coscritti rifiutarsi di andare a combattere.
Per contro la Novorussia ha proclamato la mobilitazione generale. Sarà su base volontaria, tuttavia i responsabili si aspettano un afflusso di 100mila uomini e potrebbe non essere solo propaganda.
Se non interverranno altri fatti, cioè un intervento diretto o indiretto massiccio della Nato o nuovi negoziati di pace, ciò che si può quindi prevedere è che la NAF nel 2015 conquisti Odessa e Mariupol, dando così continuità territoriale alla Crimea e tagliando fuori Kiev dall’accesso al mare. A quel punto si fermerà. Non andrà ad assediare Kiev, ma attenderà la mediazione internazionale. Se ci sarà. E si può anche prevedere che Mosca a quel punto avrà parecchie difficoltà a rifiutare per la seconda volta la richiesta dei territori controllati dalla NAF di essere annessi alla Russia.
La junta di Kiev è nel panico e in questo 2015 rischia di frantumarsi. Assediato dalla destra ultrà (a Kiev ci sono ripetute manifestazioni antigovernative dei battaglioni di volontari nazisti che protestano contro il progetto di loro scioglimento) e prostrato dal disastro della sua “offensiva invernale”, nessun analista sano di mente oggi scommette un euro sulla vita dell’oligarca Poroshenko, primo ministro della junta (se il governo pre-golpe faceva gli interessi degli oligarchi, il governo dopo-golpe è direttamente in mano agli oligarchi, un gran passo in avanti).
Poroshenko ha capito che l’esistenza sua e quella dell’Ucraina dipendono dalla pace con la Novorussia (per questo vuole sciogliere i battaglioni di volontari, che vedono la pace come il fumo negli occhi, visto che la sola ragione per cui esistono e hanno un ruolo è la guerra). Oggi la sua propensione al compromesso è spalleggiata anche dal mondo degli affari, persino dai settori che erano più oltranzisti. E non a caso Putin gli ha fin da subito teso la mano, riconoscendo le elezioni di maggio, pur pesantemente viziate dall’esclusione dei partiti di opposizione e di larghe regioni del Paese, e non riconoscendo invece ufficialmente le elezioni di novembre nel Donbass (attirandosi anche in questo caso feroci critiche dai nazionalisti russi).
Come è stato detto, Putin preferisce una cattiva pace a una buona guerra. Una verità che in Occidente è da nascondere, perché il presidente russo deve essere a tutti i costi demonizzato. Anche nel suo caso è iniziato l’accostamento a Hitler. Un classico: Hitler- Milosevic, Hitler-Saddam, Hitler-Ahmadinejad, Hitler-Gheddafi, Hitler-Assad e adesso Hitler-Putin.
Putin invece sa che un’Ucraina unita e federale sarebbe lo scenario più vantaggioso per la Russia e un punto di ricucitura con la UE. Lo sanno bene anche negli Usa. E quindi se il deciso hard-power statunitense avrà la meglio sull’indeciso soft-power di Obama le cose si metteranno molto male per Poroshenko, per l’Ucraina e per l’Europa intera.
Ci si può immaginare la signora Clinton, che stufa di una politica estera in confusione, stufa delle micro-fronde e delle micro-diplomazie sotterranee europee, dice; «Obama, move over there, let me work! And you, European ”leaders”, shut the fuck up! Line the fuck up! Fuck the Eu!».
Purtroppo gli ultimi sviluppi mostrano un Obama assediato e costretto, almeno apparentemente, ad adeguarsi alle richieste dei falchi, cioè aiuti letali all’Ucraina e sostegno massiccio anche politico al partito della guerra, ovvero all’ultra destra nazionalista. In questo scenario Poroshenko sarà visto con crescente sospetto dagli Usa e sempre più contestato da nazisti e nazistoidi.
Alla fine, potrebbe essere più utile come vittima sacrificale di un attacco terroristico false flag, mettiamo al Parlamento di Kiev. Una sorta di incendio del Reichstag.
Altre opportune vittime dello stesso attentato, cioè i capi dell’ultra destra, farebbero scattare una decomposizione tribale dell’Ucraina, con presa del potere da parte di isterici signori della guerra e con bande di nazisti alla caccia degli oppositori e specialmente dei russofoni che sarebbero costretti a formare bande di autodifesa. Il caos imperiale al suo apogeo. Il massimo a cui possono attingere gli Usa a meno di dichiarare apertamente guerra alla Russia. O a meno di una revisione radicale della loro strategia. Evento ad oggi inconcepibile, e vedremo perché.

Il caos imperiale nel 2015
La crisi sistemica genera caos sistemico che decompone le società in quelle formazioni sociali che lo sviluppo aveva incastrato e accomodato in un sistema garantito da patti costituzionali. I nazionalismi etnici e religiosi, tutta la varietà di particolarismi oggi sotto i nostri occhi, sono un risultato di questa decomposizione, iniziata in una larga parte del mondo all’inizio degli anni Novanta, quando le riforme neoliberiste hanno codificato la crisi sistemica. Ecco perché anche le Costituzioni devono essere “riformate”. Perché in quella guisa oggi non servono più.
Laddove si ha interesse a limitare o tenere sotto controllo la decomposizione sociale occorre che si instauri uno stato autoritario, che imponga un nuovo senso comune, che non può più far leva su uno sviluppo esistente ma dovrà ricorrere alla mitologia di un nuovo sviluppo legata alla realtà di una situazione di guerra. Guerra con un nemico interno o esterno. È ciò che sta succedendo negli Usa e nella UE.
Ma altrove l’impero del caos cerca di utilizzare per i suoi fini ogni forma di divisione, sociale, etnica, culturale, religiosa, per far fallire compagini statali non asservibili. Che altro è il Piano per il Medioriente del ministro degli Esteri israeliano, Oded Yinon, presentato nel 1982? Che altro voleva dire il “take out” di Iraq, Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e Iran, deciso dal Pentagono fin dal 2001 e rivelato dal generale Wesley Clark?
A questi Paesi si è aggiunta da un anno l’infelicissima Ucraina, centro di snodo dell’Europa geografica e politica.
La UE non ha nessuna intenzione di pagare la sopravvivenza dell’Ucraina, e nemmeno gli Usa. L’insidioso Soros ha calcolato che servirebbero 50 miliardi di dollari all’anno. Ma gli alleati della junta hanno pianificato solo 20 miliardi in tre anni. Aspettiamoci una migrazione biblica da quel Paese, in parte verso la Russia e in parte verso la UE. Una migrazione che porterà con sé rancori per il nostro tradimento e la consapevolezza che li abbiamo usati come carne da macello contro i Russi. Una migrazione che porterà nella UE anche un gran numero di persone radicalizzate a destra, piene di rabbia e a volte addestrate militarmente; una sorta di rientro di jihadisti.
Per molti osservatori l’Ucraina è ormai uno Stato fallito. Obama è entrato nell’usuale trip decisionale (armo la junta, non armo la junta, armo la junta). Quella confusione e quella indecisione che gli sono state rimproverate. L’ultima mossa è stata una rivendicazione della paternità del regime change, ammettendo pochi giorni fa alla CNN che Washington “had brokered a deal to transition power in Ucraine”. Vuol dire che armerà veramente la junta prima della fine dell’inverno, quando è verosimile un’offensiva della NAF? O sta prendendo tempo nei confronti dei falchi, mentre pensa che la strategia migliore sia lasciare l’Ucraina nel caos imperiale, come immensa gatta da pelare per la UE e la Russia? Con il rischio però che questa gatta da pelare invece che fonte di dissidio diventi motivo per una riconciliazione tra Bruxelles e Mosca? Ma se c’è riconciliazione, le probabilità di successo della Transatlantic Trade and Investment Partnership (il Ttip) si riducono al lumicino. E gli Usa si ritroverebbero potenti ma quasi isolati, essendo a un punto morto anche le trattative per la parallela Trans-Pacific Partnership (Tpp).
Sono eventualità che Obama non può controllare e che impensieriscono i falchi.
Ed è possibile un’escalation in Ucraina e una de-escalation in Medioriente? C’è da dubitarne.
Putin per ora non ha sbagliato una mossa. Ha usato le sanzioni per rendere autonoma la Russia in molti settori e ha stretto un numero straordinario di accordi economici e finanziari coi sei settimi di umanità che circondano l’Occidente in crisi (senza contare che lo stesso interscambio tra Usa e Russia è aumentato del 7% da quando sono iniziate le sanzioni). È riuscito a non far coinvolgere il suo Paese nel conflitto e a riprendersi la Crimea senza colpo ferire. Ma nonostante la sua accortezza e pazienza, la crisi ucraina potrà finire solo con tre scenari: a) una provocazione diretta contro la Russia con suo inevitabile coinvolgimento nel conflitto; b) un’Ucraina a pezzi e al collasso, abbandonata dall’Occidente e lasciata come problema alla sfera d’influenza della Russia e - nelle intenzioni, ma non è detto - come causa di perenne discordia con l’Europa; c) una negoziazione seria tra Russia e UE con all’ordine del giorno la denazificazione dell’Ucraina, la sua neutralità e la ricostruzione del Paese.
Per ora l’unica mossa consentita alla UE dal suo padrino d’oltre Atlantico è stata l’estensione di sanzioni talmente imbarazzanti e controproducenti che vengono proclamate a gran voce ma la cui precisa definizione viene rimandata nella speranza che succeda qualcosa.

L’Europa nel 2015
Le nuovi sanzioni, se saranno prese, non hanno nessuna possibilità di danneggiare la Russia. Ma sono un pesante segnale di subordinazione alla logica della contrapposizione. Segnali che costano morti.
Tuttavia sembra che la diplomazia della Grecia di Syriza abbia giocato un ruolo importante nel frenare la UE da decisioni affrettate e troppo pesanti riguardo Mosca. Io non sono un tifoso tripudiante di Syriza, ma prendo le distanze da una sinistra italiana che, dimenticandosi di essere la più incapace d’Europa, si è lanciata in una sequenza di critiche massimaliste e puriste al nuovo governo greco, senza nemmeno dargli il tempo di insediarsi e orientarsi nel potere. Vedo anch’io alcuni segnali preoccupanti ma credo che sia d’obbligo non affrettarsi nel giudizio.
Secondo molti puri e duri, il governo greco in due giorni avrebbe dovuto: a) proclamare il default, b) uscire dall’Euro, c) uscire dalla Nato, d) opporsi con un veto alle nuove sanzioni contro la Russia.
L’unica maniera che il nuovo governo greco avrebbe per fare queste cose dall’oggi al domani senza un contraccolpo catastrofico passa attraverso una militarizzazione della società, previa sostituzione di tutte le linee di comando dei militari greci (che hanno espresso i famigerati “colonnelli” negli anni Sessanta-Settanta) a sostegno di una mobilitazione di massa continua.
La nostra sinistra, maestra delle concettualizzazioni pure e dure, ha da tempo perso di vista la realtà materiale, sperduta così com’è nel concetto e nei modelli. Si dimentica ad esempio che la Grecia ha 11 milioni di abitanti, non 1.100 milioni. Non ha la bomba atomica ma un esercito striminzito di meno di 90.000 uomini. Ha meno di 132.000 kmq e non 9 milioni. Dove va con la Dracma un Paese così? Qual è la potenza politica, militare, economica e finanziaria che starebbe dietro alla nuova Dracma, che la sosterrebbe in una crisi sistemica teatro di battaglia di contendenti colossali? Una Dracma non ereditata dalla storia e quindi inserita in qualche modo nei giochi finanziari ed economici attuali, ma nata da una rottura con l’Europa, con la Nato e con gli Stati Uniti?
Non è lecita la prudenza? Non è lecito sondare il terreno, cercarsi prima degli alleati sicuri e con la possibilità di intervenire? È difficile ricordarsi cosa succedeva ai Paesi in odore di defezione durante la Guerra Fredda? Ci siamo già scordati di Gladio? Ci siamo già scordati delle bombe in Italia per dieci anni consecutivi? Ci siamo scordati, per l’appunto, dei Colonnelli greci? E la guerra allora era fredda mentre oggi è già molto calda. E la crisi sistemica era agli inizi, non era arrivata ai livelli di oggi che non lasciano più molto spazio di manovra.
È vero, ripeto, ci sono indizi preoccupanti su come si muoverà Syriza. Ma per ora sono solo indizi, non prove. Alla fine dell’anno ci saranno le elezioni spagnole. Ma già da prima, con la semplice prospettiva di una vittoria di Podemos, l’Unione Europea dovrà fare parecchi conti. Senza parlare delle elezioni britanniche in maggio che potrebbero dare molto fiato alle posizioni cosiddette “euroscettiche”. E spero che non si obietti l’ovvietà che l’Ukip non è di sinistra. Il quadro sta cambiando. Potrebbe non essere un cambiamento sufficiente, ma un cambiamento è in atto.
Non per nulla la Bce cerca di arrivare a più miti consigli, e vara in barba a una quasi impotente Germania il quantitative easing (QE) di Mario Draghi. Ovviamente, come vedremo, non è l’unico motivo per cui lo fa. E inoltre bisogna vedere i vincoli e le costrizioni a cui la Germania cercherà di sottoporre la decisione di Draghi. Ad esempio il QE potrebbe venire incontro alla Grecia. Sarebbe la cosa più naturale. Ma potrebbe anche essere usato in modo discriminatorio per ricattare ancora di più Tsipras. Le recentissime dichiarazioni di Mario Draghi sembrano accreditare quest’ultima ipotesi. Ma attenzione alle apparenze. Attenzione alle declamazioni. Attenzione allo spettacolo che avviene sul palcoscenico, perché è più importante il backstage. Attenzione a non urlare “al lupo! al lupo!” prima di controllare se il lupo è alla catena.
Ad ogni modo c’è chi dice che è tardi per il QE e chi dice che è insufficiente. La realtà è che comunque vada servirà solo come lenitivo per guadagnare un attimo di respiro e avrà come effetto netto finale l’inasprimento della crisi. A meno che non si riconsideri tutta la costruzione europea e il nostro “modello di sviluppo” (termine che non amo) fin dalle radici.

La crisi finanziaria nel 2015
Con molta probabilità il 2015 sarà infatti anche l’anno della nuova crisi finanziaria. Non possiamo dire molto sul futuro dell’Europa se non vediamo più da vicino questo punto.
La prossima crisi finanziaria sarà peggiore di quelle precedenti per il semplice motivo che tipicamente nel tentativo di superare una crisi si creano effetti che vanno a ingigantire esponenzialmente la crisi successiva, e così via.
È impressionante constatare sui grafici come dal 2000 il prezzo dell’oro fisico sia cresciuto nella stessa ragione della sua crescita dopo il Nixon shock, cioè dopo l’inizio della crisi sistemica attuale. Solamente negli ultimi tre anni si è abbassato grazie alle manovre sull’oro cartaceo (futures) tese a sostenere il corso del Dollaro.
Cosa che - classico effetto inintenzionale - ha consentito alla Cina e alla Russia di acquistare quantità straordinarie di oro fisico in vista della prossima crisi finanziaria globale e della progressiva sostituzione del Dollaro nel commercio mondiale.
Poco da stupirsi se “Holt unser Gold heim!”, rimpatriamo il nostro oro, sia da tempo un motto molto popolare in Germania. Non si sa mai, meglio far ritornare alla base le 2.400 tonnellate d’oro depositate negli Usa e in altri Paesi, in particolare in Inghilterra e Francia. Ma i tedeschi quell’oro non lo avranno mai indietro. Gli Stati Uniti praticamente non hanno più un’oncia di quel metallo e i pochissimi lingotti che hanno restituito alla Germania erano probabilmente quelli rubati alla Libia, un furto che è costato qualche decina di migliaia di morti. Farne sparire le origini è infatti una delle più plausibili spiegazioni che sono state date all’inspiegabile fatto che i lingotti sono stati rifusi dalla Bundesbank. Ad ogni modo, con una media di 78 tonnellate all’anno, stando alle dichiarazioni della stessa BuBa, la Germania dovrà attendere 30 anni per rivedere tutto il suo malloppo. Ma tutti sanno che sarà un’attesa vana. A partire dalla BuBa, che infatti aveva inizialmente chiesto indietro solo 300 delle 1.500 tonnellate depositate a New York e si era preoccupata poco del ritmo lentissimo di rientro, fino a dichiarare che in fin dei conti l’oro tedesco stava benissimo anche negli Usa. Per poi ricredersi per le pressioni di un agguerrito comitato e probabilmente per i nuovi calcoli economici, finanziari e politici che si sono fatti.
Un analogo problema lo stanno sperimentando Belgio e Olanda, gli unici in Europa che abbiano iniziato un piano di rimpatrio dell’oro. L’Italia, che ufficialmente possiede la terza riserva del mondo, cosa aspetta? Non vuole irritare la Fed o ha stabilito che tanto è fiato sprecato? Qualcuno si sta chiedendo perché i Paesi europei di “area tedesca” stiano cercando di rimpatriare il loro oro? Qualcuno si è chiesto perché Russia e Cina lo accumulino a ritmi mai visti prima nella storia?
Facciamoci allora un’altra domanda: il QE di Mario Draghi seguirà la stessa sorte del QE di Shinzo Abe (o più precisamente del QQE, perché il Governatore Kuroda-san pretende che sia anche “qualitative” oltre che quantitative - non per nulla son giapponesi)?
La domanda da porsi è se il QE, o QQE, europeo sia, parimenti a quello asiatico, un tentativo di aumentare l’inflazione nella speranza di rilanciare l’economia reale. È una domanda importante perché in Giappone, come si sa, non ha funzionato. Il reddito delle famiglie è sceso del 6% e il Pil del 7%. In compenso si sono formate bolle speculative più grandi di quelle già rovinose del “decennio perso” dell’economia nipponica. Un periodo nero, voglio ricordare, innescato dal Plaza Accord del 1985 che di fatto è da considerare come il canto del cigno del potere di lobbying dell’economia reale statunitense prima della finanziarizzazione selvaggia iniziata alla fine degli anni Ottanta e consacrata nel 1995 da un accordo opposto chiamato, infatti, Reverse Plaza Accord (gli accordi del 1985 non erano altro che l’imposizione forzata da parte degli Usa della rivalutazione dello Yen - che viene però incensato da qualcuno in quanto esempio di “moneta indipendente”).
Un effetto sicuro della Abenomics è stato quello di indebolire lo Yen senza per altro riuscire a ridurre l’enorme debito pubblico, 240% del Pil. In altre parole il Giappone è come un’enorme Grecia, col vantaggio formale di avere una moneta e una banca centrale indipendenti e quello sostanziale di essere la terza economia del mondo, quindi too big to fail, e, soprattutto, di essere geopoliticamente strategico per gli Usa.
Ciò nonostante, più di un analista non esclude un futuro default del debito sovrano e un collasso dell’economia del Sol Levante.
L’Europa sta per diventare il Giappone occidentale?
Il QE europeo è un aiuto agli Usa per bilanciare il famoso tapering della Fed, che stenta ad essere implementato, dopo trilioni di dollari stampati e messi in circolazione? Trilioni che non hanno sortito sull’economia reale un grande effetto, se sono veri i dati di una caduta a picco dei prezzi dei beni industriali negli Usa, cosa che farebbe direttamente a pugni col +5% di Pil sbandierato da Obama.
La realtà è che questi trilioni, come vedremo, hanno gonfiato nuove bolle speculative.
Analisti di lungo corso operanti quotidianamente sui mercati, suggeriscono di sostituire il termine “Teoria monetaria” con “Bubbleology”, scienza delle bolle monetarie. La loro analisi della crisi solitamente non va molto indietro al 2008, anno dello scoppio della bolla immobiliare (d’altronde da noi non si va quasi mai indietro al 2000, anno dell’Euro), tuttavia sono persone concrete, poco avvezze alla (inconsistente) teoria ma spaventate dalla (consistente) pratica. E quindi il suggerimento è molto pertinente.
La Cina dal canto suo ha deciso di utilizzare lo stesso antidoto per contrastare l’indebolimento della propria economia. E quindi non c’è da stupirsi che lo stesso effetto sia stato raggiunto: una bolla borsistica. Per loro fortuna la bolla è scoppiata abbastanza alla svelta. Forse perché sono cattivi “comunisti” e hanno un governo centrale molto occhiuto. Ad ogni modo, dato che l’Impero di Mezzo ha i migliori “fondamentali” economici del mondo, la vicenda cinese è una riprova di quanto stiamo dicendo: quando la crescita della base monetaria e degli strumenti creditizi diventa non una leva per la crescita dell’economia reale ma il sostituto di questa crescita, le bolle speculative sono inevitabili.
La discesa a picco del prezzo del petrolio ha solo parzialmente danneggiato l’economia del babau russo, ma avrà invece effetti molto brutti in Occidente. È fantastico che fino a ieri il prezzo crescente del petrolio fosse visto come il peggior incubo - tanto che una delle giustificazioni dell’Euro era che costituiva uno scudo rispetto alla crescita dei prezzi dell’energia - e oggi ci dicono invece che è tutto il contrario. Come mai? Schizofrenia?
Il fatto è che il prezzo alto del barile era un problema per l’economia reale. Ma il prezzo basso è un grossissimo problema per un’economia finanziarizzata. Solo per fare un esempio, si prenda il Canada, dove l’enorme bolla immobiliare (più grande di quella statunitense del 2008, secondo gli esperti) rischia di scoppiare dato che non è più sostenuta dall’alto prezzo del petrolio. Ed è solo un esempio.
Di tipo peculiare sono poi le sofferenze per il circuito “mercato delle armi-mercato del petrolio”, col risultato che uno dei pochi settori dell’economia reale che ancora tira, quello (orrendo) della produzione di armamenti, rischia una forte riduzione.
La situazione in Canada è un esempio di come l’economia finanziarizzata e quella reale, non solo divergano in misura geometrica, ma abbiano anche logiche contrastanti.
Per quale motivo Renzi e Padoan hanno deciso di rendere scalabili le Banche Popolari? Per quale motivo stanno stravolgendo la natura e la missione della Cassa Depositi e Prestiti? Perché hanno deciso di svendere quei pochi istituti finanziari che ancora avevano legami con l’economia reale e coi cittadini? Perché vogliono privatizzare quel mondo e quell’altro? C’è un unico vero motivo, al di là dei side-effect: per fornire alle fauci insaziabili della finanza un po’ di carne fresca e rimandarne per qualche tempo il suo collasso. Perché il nostro debito pubblico aumenta nonostante un’austerity feroce, se non, essenzialmente, per la trasformazione delle sofferenze finanziarie private in sofferenze pubbliche?
E allora ci si domanderà: perché di quell’enorme flusso di soldi generato finora negli Usa e in Europa, solo miseri rivoli sono arrivati all’economia reale, e la stessa cosa è destinata a ripetersi col QE europeo?
Esiste una risposta sbagliata e una risposta giusta.
La risposta più semplice è nota ed è divulgata sia a destra sia a sinistra: è in atto da tempo un complotto dei banchieri massonico-giudaici. Questa è la risposta sbagliata! I banchieri e i finanzieri, che siano framassoni o non lo siano, che siano ebrei o gentili, sono solo agenti (non innocenti) di un fenomeno più generale e oggettivo.
La risposta giusta, infatti, è che imprestare soldi a una economia reale che non produce sufficienti profitti o non ne produce affatto, equivale a un prestito a fondo perduto. I soldi vanno solo dove se ne producono altri e in Occidente questo luogo da decenni è la finanza speculativa. E se il denaro prodotto dal denaro è carta straccia tanto quello prestato lo si vedrà solo se qualcuno non ne riconosce più il valore. Chi minaccia di farlo è, ovviamente, passibile di eliminazione fisica. Lo potranno fare, quando lo riterranno conveniente, solo in pochi, bene armati: la Cina, la Russia, forse l’India. Succederà nel 2015? Sarà una catastrofe o sono ancora possibili sgonfiamenti pilotati delle bolle? Chi ne farà le spese?

L’impero nel 2015
Ecco allora l’importanza centrale dei giochi geopolitici di alleanza e di conflitto nella crisi sistemica. Gli Usa sanno benissimo che il bluff finanziario smetterà di reggere quando esso metterà seriamente a repentaglio lo sviluppo cinese e quello russo, oltre a quello dei loro alleati di fatto o di diritto. Questo bluff serve a mantenere l’egemonia planetaria statunitense sul mondo e, di converso, l’egemonia serve a sostenere il bluff. Per gli Usa è vitale, a meno di riformare la propria società fin dalle radici. Cosa che nemmeno il più audace dei candidati alla Casa Bianca oserebbe mettere nel suo programma: per cose infinitamente più timide, l’esclusione a priori dalla corsa presidenziale è certa e l’eliminazione fisica quasi.
Allora occorre indebolire i competitor. Si suscitano così “primavere” sulla sponda Sud del Mediterraneo per escludere da quei paesi la Russia e la Cina e contemporaneamente creare un cordone sanitario rivolto all’Europa, per scongiurare ipotesi di politiche indipendenti del Vecchio Continente; e per completare l’opera, dopo aver capito che un attacco diretto in Medioriente era troppo rischioso, si è consentito che un esercito di decapitatori, lapidatori e tagliagole dilagasse nella Mezzaluna Fertile. Poi ci si rivolge all’Europa e si scatena un golpe nazista a Kiev con tanto di minaccia di pulizia etnica degli ucraini russofoni, per suscitare la prevista reazione della Russia, sanzionarla, aprire un fronte orientale di guerra anche in Europa e stringere così a coorte il Vecchio Continente, per metà imbelle e per metà comprato.
Ma gli effetti sono spesso inintenzionali. Russia e Cina cementano un’alleanza inimmaginabile fino a qualche anno prima, che riguarda infrastrutture, energia, armamenti, cibo, tecnologia. L’India tiene i piedi in due staffe e rifiuta di sbilanciarsi verso gli Usa.
Il Dollaro, che gli Usa vogliono strenuamente difendere, si trova così sempre più alla mercé dei grandi competitor, specialmente della Cina. Se gli Stati Uniti non riescono a imbrigliare l’economia cinese in una nuova mondializzazione, innanzitutto finanziaria, l’affondamento del Dollaro può essere solo questione di tempo e di scelta politica. In sole due mosse: 1) vendita degli immensi asset finanziari denominati in dollari posseduti dalla Cina, 2) vendita dei dollari guadagnati con la prima vendita. In pochi minuti, anni di Quantitative Easing verrebbero vanificati (si veda quanto ha scritto in proposito l'ex sottosegretario al Tesoro di Reagan, Paul Craig Roberts). Questa sarebbe la mossa finanziaria, quella cinese. Dal canto suo la Russia potrebbe attuare la mossa energetica, tagliando gas e petrolio all’Europa Occidentale.
Sarebbero mosse rischiosissime, è più che evidente, ma potrebbero essere obbligate in assenza di negoziazioni serie e globali sul disarmo, l’economia e la finanza. E quindi, in definitiva, sul Potere. L’alternativa per Cina e Russia è attendere nella speranza che Washington non lanci un attacco nucleare. Una speranza e un’attesa che rischiano seriamente di essere vane, perché tutte le mosse intermedie degli Stati Uniti hanno mostrato ritorni progressivamente decrescenti ed effetti inintenzionali disastrosi. E le mosse rimaste sono poche e verosimilmente non migliori di quelle precedenti.
Come conseguenza, la forza di attrazione degli Usa e dell’Occidente scema senza soste, mentre quella del nuovo asse euroasiatico aumenta allo stesso ritmo.

La guerra e la pace nel 2015
Dato questo quadro, si capisce perché l’hard power statunitense accusi Obama di avere una strategia confusa e proponga invece un uso diretto e massiccio della forza militare. Un uso, però, rischiosissimo, perché di fronte ci sono potenze che a detta di Paul Craig Roberts, possono singolarmente far polpette degli Usa. Roberts non afferma ciò per perorare un massiccio riarmo statunitense. Al contrario, quel che vuole è un ridimensionamento della potenza degli Usa e la loro accettazione di negoziati globali. Cioè il riconoscimento che l’epoca dell’egemonia incontrastata degli Usa sta tramontando. Un processo testimoniato dal fatto che dall’inizio del millennio gli Stati Uniti sono permanentemente in guerra con quasi tutto il mondo.
Con gli Usa presi in mezzo a queste contraddizioni, si capisce perché il boccino del QE, che anche in Europa non potrà mai essere un QQE, sia ora passato all'Unione Europea.
Nell’ambito di questa nuova politica monetaria espansiva è verosimile un allentamento dell’austerity e l’accomodamento di parte delle esigenze dei PIIGS, a partire dalla Grecia (a meno di un’impuntatura da parte della Merkel per far saltare tutto e uscire dall’Euro dando la colpa agli altri). Anzi, i PIIGS potrebbero diventare i migliori alleati di questa novella politica Fed-Bce che soppianterebbe quella della Troika.
Cosa ciò possa significare per il futuro dell’Euro e della UE non è facile da capire. Innanzitutto perché nonostante le apparenze sarà più una scelta politica che non economica. In secondo luogo perché nel corso del processo potrebbero prendere forza dinamiche più radicali dovute alla crescente paura per l’aggressiva politica imperiale e all’insoddisfacente recupero economico e sociale (se la fonte finanziaria all’origine è più copiosa, il rivolo che arriverà all’economia reale sarà più grande, ma sarà sempre un rivolo). Non solo. È da escludere un effetto uniforme nel tempo, nelle regioni europee e in tutti i settori dell’economia europea. Gli effetti saranno a macchia di leopardo sia nel tempo che nello spazio.
Anche i quattro QE statunitensi hanno generato effetti contrastanti. Ad esempio dopo i primi due c’è stato un ribasso della Borsa, ma dopo il terzo e il quarto un rialzo. L’effetto netto comunque è stato l’indebolimento del Dollaro e l’approfondimento della frattura del mercato internazionale.
L’annuncio del QE europeo ha già provocato la nota reazione della Banca Nazionale Svizzera, una reazione che alla Borsa di Zurigo è costata 100 miliardi di franchi. Certo, l’Euro indebolito sta facendo tirare un po’ il fiato agli esportatori, ma in un mercato mondiale diviso in due, quanto lunga sarà questa boccata d’aria? Certo, se il Ttip verrà firmato i grandissimi esportatori ne avranno notevoli guadagni, ma per il resto della società si tratterà di raschiare il fondo del barile a prezzi altissimi in termini di democrazia, diritti, salute e ambiente.
Tuttavia il problema centrale rimane l’accumulo mostruoso di capitale fittizio rispetto alle possibilità dell’economia reale. Un accumulo che come il famoso tirannosauro di Jurassic Park si avventa su tutto ciò che si muove nell’economia reale e, soprattutto, si configura come il più grande problema economico della nostra epoca.
Ci sono troppi capitali accumulati per un singolo mondo. Figurarsi per un mondo diviso in due. E “troppi” significa che questi capitali rischiano di essere considerati per quel che sono, cioè carta straccia. Quadrilioni di potere, ovvero di possibilità di mobilitare risorse, che diventano improvvisamente carta straccia. Questo è l’incubo. Il loro incubo. Capitali in forte “esubero” possiamo dire. Milioni di miliardi pronti per essere macellati. E non è solo un problema occidentale. È un problema dell’accumulazione di capitale, anche se oggi è principalmente un problema storico dell’Occidente.
Non c’è quindi da stupirsi che qualcuno in Occidente pensi che la guerra sia la sola igiene del mondo. D’altra parte, non ha mica tutti i torti: senza più il mondo ogni vincolo materiale scompare e di conseguenza i problemi. L’apogeo dell’economia virtuale.


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